Riceviamo e pubblichiamo la lettera firmata. "La morte rappresenta la conclusione del percorso di vita, l’ultima occasione di relazione con gli attori che hanno preso parte alla rappresentazione di quella commedia vissuta, nel palcoscenico della propria esistenza, unica e irripetibile. Assistere alla morte di un proprio caro offre l’occasione importante per un ultimo dialogo, silente, in cui esprimere gioie e dolori, talvolta segreti mai rivelati, in cui potersi perdonare e alleviare i propri sensi di colpa, in cui ringraziare per quanto ricevuto in termini di valori e di insegnamenti che hanno lasciato tracce indelebili nel nostro processo di crescita.
Eppure il pensiero di morte ci spaventa, ci attiva sentimenti contrastanti di vicinanza e allontanamento, ci pone di fronte al vuoto causato dalla perdita e alla necessità di riorganizzare la propria vita. Se poi ai vissuti di perdita si aggiungono cause esterne che aggravano il percorso verso il fine vita, subentrano vissuti di rabbia, dolore, impotenza. Penso a tutte quelle persone, ospiti in strutture per anziani, spesso con malattie neurodegenerative che conducono ad una perdita progressiva delle proprie funzioni fino alla totale incapacità di chiedere aiuto, di segnalare una propria sofferenza e di viverla nel proprio silenzio. Malattie drammatiche, irreversibili, che transitano la persona in un processo di morte lento nel distacco progressivo dal mondo esterno, dai propri cari. Un dolore che diventa angoscia, senso ineluttabile di impotenza sia per il malato sia per i suoi cari. Il dolore, spesso, nella decisione di doversi prematuramente separare dal proprio caro, malato, per affidarlo alle cure quotidiane di infermieri e operatori sanitari che lo accompagnano in un successivo decorso.
E poi la notizia improvvisa che la condizione di salute è precipitata e che nessuno ha informato per tempo circa la gravità che si stava manifestando. La corsa in Ospedale e l’apprendimento di una situazione di estrema gravità in cui nulla potrà più essere fatto per salvargli la vita e ritrovarsi, quando meno te lo aspetti, a trascorrere le ultime ore accanto al proprio padre, inerme e sofferente, a ripercorrere i momenti della vita vissuta insieme, a rivisitare i sogni di ciò che avresti ancora voluto realizzare insieme a lui.
E d’improvviso l’amarezza di scoprire che la gravità di quelle condizioni è da imputarsi ad una trascuratezza da parte di chi, negli ultimi due giorni, avrebbe dovuto prendersi cura di lui e non lo ha fatto! Come può essere spiegata una condizione di gravissima disidratazione in un paziente anziano, incapace di comunicare le sue condizioni, i suoi bisogni? In una condizione di allettamento e di febbre alta può essere giustificata la dimenticanza di ottemperare ai suoi bisogni primari? Perché non si è pensato di procedere con una flebo per assicurarsi che il suo corpo fosse adeguatamente idratato? Le cifre esorbitanti per le rette di queste strutture non assicurano purtroppo la garanzia di una buona assistenza!
Ed il ricambio continuo di operatori, spesso in numero esiguo per la gestione dei tanti ospiti della struttura, rappresenta un ostacolo alla corretta presa in carico del paziente! Così alla fine, oltre al profondo dolore per la perdita, si aggiunge anche la rabbia verso chi aveva una responsabilità nella cura e ha minimizzato il suo compito.




















