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Valle Elvo | 21 gennaio 2018, 08:00

Il biellese magico e misterioso: Sulle nostre montagne c'è l'oro. In grande abbondanza

A cura di Roberto Gremmo

Il biellese magico e misterioso: Sulle nostre montagne c'è l'oro. In grande abbondanza

Sulle nostre montagne c’é l’oro. In grande abbondanza.

    I corsi d’acqua biellesi sono davvero ricchissimi del ‘biondo metallo’ che viene estratto da sempre tutto attorno al Monte Rosa fino ad Alagna ed alle valli ossolane,

    Nella tradizione popolare della nostra regione é stata fatta memoria leggendaria di questa ricchezza nell’originale racconto della trota d’oro, un mitico animale che sarebbe vissuto indisturbato nel lago del Mucrone, sopra Oropa.

    Un uomo sarebbe riuscito a pescarla ma il favoloso animale avrebbe iniziato a dialogare con lui, rivelandogli di essere in realtà la fata del lago ed ammonendolo a liberarla se non avesse voluto scatenare le forze maligne nascoste nel fondo dello specchio acquatico che avrebbero distrutto nella loro rabbia tutti i paesi del fondovalle.

    Spaventato e preoccupato, il pescatore l’avrebbe rigettata nel lago ma poi si sarebbe convinto a raccontare la propria avventura ad alcuni amici che, più coraggiosi ed avidi di lui, sarebbero saliti al lago cercando di far abboccare all’amo la trota d’oro.

   La fine della leggenda é naturalmente tragica perché i malcapitati rimasero come impietriti per più giorni a gettare le loro esche, finendo per morire di fame e di sete.

    Ricorrono in questo racconto i temi delle potenze oscure degli abissi già fortemente presenti nella tradizionale paura del mostro del lago di Viverone, ucciso dal coraggioso monaco cristiano Bonomio ma compare anche una creatura straordinaria dotata di poteri di mutazione ma soprattutto creata magicamente con la materia più preziosa, evidentemente presente nella generosa natura del luogo.      

   Nel 1873 dando alle stampe il suo prezioso atlante scientifico sui tesori sotterranei d’Italia il celebre geologo Guglielmo Jervis segnalava che in quell’epoca una rilevante quantità di “Oro nativo” si poteva ‘pësché’ anche nella Sesia vicino a Vercelli “sotto l’influenza del Cervo”.

    Lo stimato scienziato che all’epoca era conservatore del “Regio Museo Industriale Italiano” di Torino non si limitava a quest’annuncio ma elencava col puntiglio dello studioso tutte le località biellesi dove si potevano trovare quantità sufficientemente elevate di minerali di pregio o di valore.

   In primo luogo metteva in luce l’esistenza di “Galena argentifera; che diede all’analisi 40% di piombo, con o,12 di argento e 0,00625 di oro % nel piombo d’opera” nella località ancor oggi detta a giusto titolo Argentiera fra Valle Superiore Mosso e Mosso Santa Maria, a due chilometri dal “Ròch San Martin” e vi segnalava una miniera di piombo argentifero “coltivata per conto del Governo sardo. I lavori furono abbandonati da lungo tempo; esist[eva]no per altro avanzi di fabbriche e condotti in pietre, e ved[evan]si estese scavazioni”.

    Altra “Galena argentifera” si trovava a Bioglio “presso la miniera antica dell’Argentiera però dalla parte sinistra del torrente Sessera, sotto l’Alpe del Campo. Vi si praticarono anni orsono alcune opere di scavazione ma tosto abbandonate, dicesi per mancanza di mezzi per continuarle”.

   Lo stesso minerale era presente nelle rocce di Portula “nel sito detto Aostano”, a Postua “con matrice di quarzo” ed a Crevacuore dove la “Galena argentifera a grana fina” si estraeva in passato nella regione “Ai Torrini”.

    Pirite in roccia serpentinosa era presente nei pascoli di Valle San Nicolao nella zona delle pietre verdi di “Rondo Seravezza”; a Camandona presso l’“Alp dij Campej”; a Vallanzengo all’ “Alp Cusogna”; in località “Calchere” di Mosso Santa Maria, sotto la cima del Cornabecco a Coggiola; a Postua “contenente indizi d’argento” ma soprattutto una certa quantità di “Pirite aurifera” era stata scoperta ad Ailoche nella regione “Rusa del Pozzo” mentre vicino al mulino della chiesa parrocchiale di questo paese s’era trovato del minerale “Mispichel, ossia Pirite arsenicale, contenente indizi d’argento”.

     Sempre ad Ailoche erano ancora visibili i resti delle miniere di ferro abbandonate nei pressi della località “Gionchio”, alla regione detta “Sasso del Ferro” sul torrente Strona e sulla montagna “Giumeula” verso il monte Barone. 

   A quest’abbondanza di varietà minerali di pregio s’aggiungevano limonite di ferro presente nelle rocce sul monte Barone e grafite nella “Valle Oscura” di Viera di Coggiola; steatite bigia verdognola in località Vaudano di Croce Mosso; coridone “imperfettamente cristallizzato” verso la cima della montagna detta “La Foggia” sopra Trivero ed al ponte di Barbero sul torrente Sessera.

    Tuttavia, la piccola toponomastica locale, benché molto italianizzata, ha troppi nomi che si richiamano all’oro e dunque é assai probabile che di metallo aurifero ne sia stato tratto parecchio nelle ricerche clandestine della gente del posto, in luoghi tenuti rigorosamente nascosti.

   Sia a Trivero che a Rassa e Riva Valdobbia esistono delle frazioni denominate “Oro” ed a Mosso la frazione “Olloro”.

   Nella Valfinale della Valsessera esiste la località “Oro della Lamma”, la ‘lama’ in piemontese. come la “mòja”. Indica una valle paludosa o dell’acqua stagnante.

   Ma perché d’oro ? Come mai a poca distanza una cima é detta dell’Inferno ? Per dissuadere dal mettervi piede curiosi o impiccioni ?

   L’abbondanza del metallo nelle nostre montagne ha anche suscitato una millenaria corsa all’oro senza esclusione di colpi.

    Nel 1786 nel suo “Essai geographique suivi d’une topographie souterraine, monéralogique, et d’une docimasie des Etats de S.M. en terre ferme” l’ispettore sabaudo delle miniere Spirito Benedetto Nicolis De Robilant segnalava che notevoli quantità d’oro pescato nel Sarv a Campiglia veniva venduto di nascosto a degli spregiudicati mercanti, segnalando che “tra la Sessera e la Valle d’Aosta” esistevano “miniere d’oro ricche, lavorate clandestinamente da’ Paesani”.

    Nel 1931 il celebre storico Alessandro Aspesi tornava a focalizzare l’attenzione sulla ricchezza mineraria biellese ricordando sul “Popolo Biellese” che “[l]a regione tra il Cervo e la Dora Baltea era anticamente abitata da una tribù dei Liguri, chiamata degli Ictimuli o Bessi, i quali erano specialisti nell’estrazione dell’oro dalle miniere. E siccome la storia ha ormai dimostrato che i primi popoli andavano sempre ad abitare sui monti finchè non riuscivano a bonificare e prosciugare le pianure, allora paludose, possiamo affermare col Mullatera, il quale in questo senso interpreta Plinio e Strabone, che la posizione degli Ictimuli doveva trovarsi precisamente sui monti che dividono il Biellese dalla Valle d’Aosta, a cominciare cioè dalle sorgenti della Serra sino al torrente Oropa. [...] Nei diplomi imperiali del 7 maggio 999, 7 aprile 1027 e 17 ottobre 1152, Pollone viene designato col nome “Pedroro” ossia Polloro, che al dire del romantico Modena, vuol dire “pulit aurum” (pulisce d’oro). Quivi nasce l’Oremo, che prendendo il nome dal monte omonimo, vuol dire “auri mons” (monte dell’oro).

   Anche Occhieppo, sempre secondo il Modena, ha un’etimologia latina e significa “aurum capito” (prendo l’oro), Ponderano deriverebbe da “ponderans aurum” (che pesa l’oro) e Candelo da “condere aurum” (custodire l’oro). In questo modo abbiamo una specie di guida, da cui sappiamo il luogo dove si nascondeva il prezioso metallo, quello dove veniva lavorato, poscia trasportato, pesato ed infine custodito.

   Insomma, gli storici non esitano ad affermare che il luogo preciso di questa estrazione dell’oro sia stato Favaro, che, secondo essi, trae il suo nome dal latino. “fovea auri” (fossa dell’oro).

   Anche nella valle d’Andorno esistevano miniere d’oro e d’argento. Infatti in uno statuto del Vescovo di Vercelli dell’8 marzo 1311 si accenna ad argentieri o coltivatori di miniere, che abitavano la vallata d’Andorno e che godevano privilegi ed immunità.

    Alle fonti del torrente Sessera, e precisamente sui monti Asolate, Quadro e Montuccia, vi erano miniere d’oro e d’argento, da cui il Comune di Vercelli ritraeva non piccolo profitto e che cedette per vent’anni in affitto a certo Imberto De-Patrico e soci, di Brescia.

   Nell’articolo 3 dell’accordo preso fra Amedeo VI e Andorno, quando questo paese si sottopose al suo dominio nel 1379, si parla del diritto che ha il Conte di Savoia di avere la quarta parte dell’oro che si estrae dalle miniere del paese.

   Un diploma del 1 novembre 1000, rilasciato da Ottone III a favore del Vescovo di Vercelli, Leone, si dice che “totum aurum quod iuvenitur et laboratur” nella nostra regione è concesso alla chiesa vercellese.

   Infine Emanuele Filiberto, nel 1564, concedeva a certo Francesco Olgiati, la miniera e i filoni d’oro, d’argento, piombo e rame esistenti nella medesima valle di Andorno, riservandosi la quinta parte dell’oro estratto, la decima dell’argento e la quindicesima del rame”.

   Ancora durante l’ultimo conflitto i partigiani calarono sulle cave aurifere della valle Anzasca a Pestarena e nella primavera del 1944 assaltarono armi alla mano i guardiani prelevando, stando ad una relazione del direttore della minura al “Link M.V.O.R., Beauftragter fuer Bergbau Italien” tedesco, “cinque degli undici bidoni di fango ivi custoditi per un complesso di Kg. 14,336 di oro fino” oltre ad una parte delle paghe degli operai.

    Non era finita, perchè i partigiani tornarono a colpire la miniera qualche notte dopo e “minacciando ottenevano apertura cassaforte fanghi auriferi dalla quale toglievano cinque bidoni per un contenuto di circa quindici chili oro” oltre alle solite paghe degli operai.

    Tre giorni dopo, un “[f]orte gruppo ribelli che presiede[va] Valle Anzasca, dopo 3 giorni di lavori in galleria [aveva] prelevato 84 bidoni contenenti oltre 20 quintali di fango aurifero della miniera Ammi di Pestarena di Macugnaga custodito in galleria corazzata. Dai quintali di fango possono ricavarsi 223 Kg. di oro”.

  In estate, mentre “quasi la totalità dei dirigenti e funzionari tecnici” abbandonarono la miniera “per tema di rappresaglie”, vennero compiuti “ulteriori colpi di mano”.

   Ma quel metallo era maledetto e funesto perché fra i partigiani s’ingaggiò una lotta all’ultimo sangue per dividersi il bottino e, secondo quanto ricostruì don Pellanda nel suo libro sull’”Ossola nella tempesta” il capo della spedizione, lo sfortunato “Tenente Vacca” venne soppresso in una casera da altri ‘patrioti’ d’una formazione rivale mentre cercava di fuggire.

   A guerra finita, l’8 ottobre 1945 il nuovo dirigente dell’”Azienda Minerali Metallici”, ragionier Guido Molignoni denunciava al Procuratore del Regno presso il Tribunale di Verbania “relativamente all’asportazione di materiale aurifero” a Pestarena da parte di partigiani o presunti tali che avevano prelevato “circa Kgr. 53,635,62 di oro fino e Kgr. 25,143,16 di argento fino”.

  Un vero tesoro.

  Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo scrivendo a storiaribelle@gmail.

 

   Per approfondire questi argomenti segnaliamo un libro pubblicati da Storia Ribelle casella postale 292 - 13900 Biella.

Roberto Gremmo

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