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Basso Biellese | 14 ottobre 2018, 08:00

Il biellese magico e misterioso: Il “Ròch dla sguja” della Bessa, il “Sasso scivolone” di Malesco e i culti paganeggianti di fertilità

A cura di Roberto Gremmo

Il biellese magico e misterioso: Il “Ròch dla sguja” della Bessa, il “Sasso scivolone” di Malesco e i culti paganeggianti di fertilità

  Nella Bessa magica e misteriosa  due massi erratici di notevoli dimensioni perduti nella boscaglia vengono considerati dotati di misteriosi poteri.

   Quello più noto é il cosiddetto “Ròch dla sguja” (pietra dello scivolo) che nella sua preziosa guida alla Bessa l’archeologo Alberto Vaudagna considera “[u]n masso erratico di grande rilevanza per la facoltà di donare fertilità” ed evidenzia che sul suo dorso arrotondato “vi é la traccia levigata prodotta da innumerevoli “scivolate” di generazioni di donne in cerca di fertilità (ed in tempi recenti da giochi infantili)”.

   Dieci anni fa, quando lo cercai per descriverlo nel libro “Le grandi pietre magiche” era facilmente raggiungibile, per sentieri puliti e ben delineati ma trovarlo oggi, percorrendo piste approssimative coperte da rovi e dissestate, é davvero un’impresa.

   Non vale la pena che la Bessa sia oggi una “Riserva Naturale Speciale” se poi non é quasi possibile raggiungere uno dei suoi siti megalitici più importanti ed affascinanti.

  Comunque, occorre partire dallo slargo della strada Riviera-Cerrione del cantone Roletti dove si trova l’amburatorio medico, scendere accanto alle ville, percorrere il disagevole sentiero lasciandosi a destra il “Ròch dla volp”, deviare a destra subito dopo una grande sassaia, proseguire facendo attenzione ai rovi sporgenti fino ad una mal segnalata deviazione sulla destra, percorrere ancora una cinquantina di metri ed infine scendere in una valletta sulla sinistra da dove il “Ròch” emerge in tutta la sua imponenza e maestosità.

   Mentre in passato, il grande masso erratico era ben visibile, oggi é tutto coperto dal sottobosco e proprio la sua parete scivolosa che in passato veniva allegramente solcata da generazioni e generazioni di bambini festanti ed eccitati, é stata addirittura lacerata dalle radici d’un alberello che sono penetrate profondamente, spaccando la roccia.

     Eppure, prima di diventare un masso sepolto dal muschio e coperto di uno spesso strato di fogliame mezzo marcio, questo masso nel cuore della Bessa era con molta probabilità una pietra magica, come conferma l’esistenza sulla sua sommità d’una trentina di coppelle.

Alto più di due metri il “Ròch” ha una forma ovoidale ed assomiglia in modo impressionante alla grande pietra di san Bernardo che sovrasta Boleto sul lago d’Orta.

   Purtroppo, e lo dico con grande dolore, non é semplice giungere al masso ma il sentiero nel bosco rivela un residuo di vero e proprio percorso devozionale perché lambisce un altro masso detto “Ròch dla volp” (pietra della volpe) e dopo aver sorpassato quello scivoloso passa accanto al cimitero e poi si sale alla chiesa di san Cassiano, un edificio dell’antico stanziamento di “Blatino”.

    Altrettanto noto é poi il cosidetto “Ròch malëgn” (pietra maligna) che come quelli del monte Fenera valsesiano e di Gattico é stato ammantato d’una fama sinistra e satanica.

   Raggiungere questo masso imponente é molto semplice e comodo perché é sufficiente seguire i  cartelli indicatori della pista ciclabile che si snoda nel bosco partendo dall’“Ecomuseo dell’oro e della Bessa”.

   Quest’imponente “Ròch” é largo diversi metri ed é diviso in tre parti e quelle più grandi sono separate da un passaggio stretto in parte inclinato.

   Benché ormai sia consolidata e diffusa la sua fama sinistra pare credibile pensare che questa pietra magica sia stata demonizzata per cancellare un importante centro devozionale pagano.

    Ancor oggi, qualcuno ha stupidamente lordato la sua superficie verniciando delle croci di colore rosso.

   Ciò non di meno, l’importanza per queste tracce d’antiche ritualità hanno per noi grande valore, evidenziato dalla non casuale somiglianza che presenta con altre affascinanti presenze litiche alpine come quelle di Malesco, in val Vigezzo dove si conserva quasi per miracolo un affascinante bosco magico, evocatore d’antiche consuetudini pagane.

   A differenza della Bessa dove i ‘ròch’ sono abbandonati all’aggressione naturale. gli amministratori ossolani lo hanno salvato dichiarandolo parco archeologico sottraendolo così al degrado ed alla speculazione perché custodisce due straordinari monumenti litici come il “Ses ‘dla Lesna” (sasso del fulmine) ed il “Sasso della Lissera” (sasso della scivolata) mappati già nel 1843 nei “Bandi Campestri” della comunità valligiana.

    Nel bosco a lato del “Rio secco” un terreno abbastanza pianeggiante permette una sosta che ritempra il corpo e lo spirito proprio attorno al “Ses ‘dla Lesna”. Un cartello spiega che la pietra sarebbe stata in un lontanissimo passato oggetto di un misterioso culto pagano delle scariche elettriche scese dal cielo anche perché “Già la tradizione celtica poneva sulle cime dei monti le divinità folgoratrici, quali Taranis o il romanizzato Jupiter Poeninus (venerato sul Gran S. Bernardo). Il riferimento ai tuoni e fulmini, così come a fatti magici o di stregoneria, è comune a molte situazioni poco conosciute o dimenticate: le accette in pietra neolitiche venivano chiamate popolarmente le ‘Pere dal Troun’, cioè le pietre del tuono, mentre le rocce a coppelle ‘Roca ‘d le Masche’ o ‘Sas di Strii’ (roccia o sasso delle streghe) sono con molta probabilità ciò che rimane di una testimonianza religiosa pre-cristiana” conservata in questo prezioso rifugio spirituale fra le fronde ombrose della pineta.

    Con molta probabilità, anche la celebre “Pera lusenta” (pietra luccicante) dei boschi fra Borgo d’Ale e Settimo Rottaro era un’altro masso del fulmine, come sembra indicare il richiamo luminoso contenuto nel suo nome singolare. In passato poteva essere davvero un luogo di richiamo per qualche pratica magica perché pur posta in una selva isolata é stata cristianizzata con l’erezione a poca distanza di un edicola sacra.

   Nel bosco di Malesco salendo di pochi metri dalla pietra del fulmine s’incontra il grande sasso scivolone, ancor oggi utilizzato dai ragazzi per un sano divertimento in mezzo alla natura.

   Anche qui un cartello spiega che “La tradizione di scivolare su questo masso è attestata dalla toponomastica e dalle evidenti tracce di levigatura osservabili sulla superficie rocciosa. Non è chiaro però quanto questa tradizione fosse semplicentente “ludica” o legata a credenze popolari. Sul medesimo supporto litico si possono notare anche altri segni lasciati dall’uomo, quali iscrizioni e date di epoca recente.

   Scivolare sulle rocce è oggi un atto eseguito per gioco, senza alcuna finalità simbolica o rituale lasciandosi scorrere sulla superficie, sedendosi sopra una tavoletta di legno o un sasso piatto. Può darsi che un tempo questa gestualità rivelasse altre intenzioni riguardanti il mondo della magia. Alcuni studiosi hanno ipotizzato infatti che questi scivolamenti venissero compiuti dalle donne per favorire il concepimento e facilitare il parto”.

    Non é azzardato ipotizzare che la selva di Malesco fosse davvero un centro devozionale specialissimo in un’epoca lontana e perduta anche perché vi diparte una sorta di sentiero spirituale che sale fino a “La Cima” a 1810 metri di quota passando accanto ad una cappella posta, va da sé, su un masso: il “Sasso Broglio”.

    Stupisce però che il piccolo torrente accanto al bosco sia chiamato “rio Secco” quando invece è tutt’altro che inaridito.

    Tuttavia, il toponimo tradizionale del paese “Melesk” é stato italianizzato in Malesco, sostituendo una vocale all’altra, così come la “lèsna” suona “lòsna” nel piemontese di pianura. Dunque “sèch” andrebbe correttamente interpretato con ‘sach’ cui non sarebbe arbitrario aggiungere ancora una erre ottenendo ‘rio sacro’.

   Bosco magico dunque, con al centro un simulacro litico per richiamare la potenza delle forze naturali che si scatenano dal cielo (o per proteggersi da loro) e con un miracoloso scivolo della fertilità, forse davvero pietra generatrice e comunque oggetto di venerazione come parecchie altre sparse in tutte le vallate ossolane, talvolta demonizzate.

    In una nota del 1893 sulla “Rivista delle Tradizioni Popolari Italiane” Giovanni Bazetta ricordava la tradizione del masso con l’impronta del demonio sul sentiero da Crodo verso l’alpe di Cravairola dopo la frazione di Maglioggio, una pietra incisa dall’essere infernale in spregio alle forze divine che l’avrebbero sconfitto.

   Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo scrivendo a storiaribelle@gmail.

Per approfondire questi argomenti segnaliamo un libro reperibile alla libreria “Ieri e Oggi” di via Italia a Biella.

Roberto Gremmo

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