Vicino alle sorgenti dell’Elf si rifugiano da tempo immemorabile i piccoli esseri che popolano il leggendario biellese più seducente ed affascinante, gli Elfi guardiani dei boschi, delle selve, delle sorgenti e delle pietre magiche.
Più di trent’anni fa, il celebre folklorista Dario Spada pubblicò un prezioso studio sul “Piccolo Popolo” e non mancava di citare le tribù di Folletti della nostra zona, i “ghignarèl” sorridenti e benevoli, gli “spitascé” che amano sculacciare i bambini disobbedienti ed i “folèt” irriguardosi e ribelli.
Il libro di Spada resta un prezioso aiuto alla conservazione della nostra memoria culturale, tanto più necessaria nel momento, come notava già allora l’Autore, in cui “tutto il patrimonio tradizionale che va comunemente sotto il nome di folclore si sgretola giorno dopo giorno sotto il micidiale rullo compressore della cultura di massa e scompare per sempre con il frenetico ritmo di vita imposto dalla società moderna che obbedisce soltanto alla dura legge del consumismo. Intanto le leggende muoiono, qua e là ne restano frammenti sparsi che si ricordano con nostalgia”.
Il rifugio, forse uno degli ultimi, del leggendario biellese (assieme alla Bürsch, a Camandona ed alla Val Finale) resta la valle dell’Elf, sovrastata dal grande “Dèir Saltzer”, la roccia a forma di volto umano dove si recavano a compiere sacrifici rituali gli antichi Salassi.
Percorrendo il Tracciolino da Urupa, poco prima del ponte sull’Elf, una stradicciola sterrata chiusa al traffico dei non residenti, porta verso un territorio dimenticato che sembra conservare tracce forti e concrete di antiche civilizzazioni alpine di cui il leggendario più autentico ha conservato memoria, trasformandolo in mito.
Fatti pochi passi, si comprende subito d’essere giunti nella terra degli Elfi o almeno dove li si ricorda perché a darci il benvenuto é una piccola fontanella che, guarda caso, é sorretta da un paletto che un estroso scultore in legno ha avuto l’ispirazione di realizzare dandole fa forma della testa d’un folletto generoso.
E’ il guardiano attento del territorio.
Le baite diroccate della “Bossola”, ormai sommerse dalla vegetazione sembrano un ottimo nascondiglio per gli Elfi restii a farsi vedere dagli estranei e restano muti ma eloquenti testimoni d’un’antropizzazione montana ormai definitivamente perduta.
Poco oltre, accanto alla maestosa baita della “ràja ‘d Graja”, si vedono ancora muraglie enormi, forse delle barriere pietrose ferma frane. Testimoniano d’una antica e mai perduta tecnica costruttiva che non a caso ha portato a dire che i biellesi hanno il “mal dla pera”, il male del costruire. Anche per questa identità, molti di loro in passato giravano il mondo come maestri muratori o “ciolìn” selciatori.
Accanto alla “Ràja” c’é una fonte, un’altra, che sgorga sotto un grande masso, trasformato in ‘crotin’ per la conservazione degli alimenti. Si tratta d’uno splendido ‘dolmen’ naturale che protegge una fonte freschissima e probabilmente rappresenta uno degli esempi più significativi e meglio conservati di megalitismo naturale dell’intero Piemonte.
Numerosi ripari sotto roccia lungo il sentiero sembrano l’ideale rifugio per il ‘piccolo popolo’ se viene sorpreso dal maltempo o se vuole nascondersi.
Quando la strada s’inerpica, appare il luogo più magico, una lama dell’Elf su cui incombe un grande masso. E’ un laghetto del torrente altrimenti impetuoso, un luogo davvero fiabesco che ispira ed incanta.
La seduzione del luogo é tale che in un anfratto della roccia accanto alla pozza dal colore cangiante é stata collocata un’anonima statuetta della Madonna. Forse sarebbe stata più adeguata quella nera d’Urupa.
In equilibrio sfidando i venti, un piccolo “òm ëd pera” é stato collocato su un masso e quest’opera d’arte conferma che il luogo ispira le più ardite idee creatrici.
Sull’Elf é stata costruita una robusta passerella, il “pont Cabrin” che permette di attraversare senza difficoltà il torrente dove in passato si doveva passare con difficoltà fra i massi.
L’altra sponda é boscosa, fitta di betulle, piante di nocciole, rododendri e mirtilli.
Lì danzano le Fate.
Le ho viste ballare scatenate al ritmo scandito dai rumori dell’Elf prendendo la forma di migliaia di moscerini.
Il bosco non é però l’abitazione stabile delle Fate che vivono nelle “Bòre dij Afé” sopra Netro o lungo la Janka ma che si recano all’Elf attraversando il Gnum (rio degli gnomi ?) solo per mostrarsi agli Elfi che vivono dall’altra parte del torrente ed incantarli con le loro danze, facendoli innamorare.
Vedo anche loro, s’immergono fra i flutti del loro corso d’acqua, ostentano forza e decisione, sono felici senza possedere nulla, irridono alla falsa civiltà che ha distrutto il loro ambiente ma meditano riscossa.
Naturalmente, queste visioni sono possibili soltanto in momenti speciali, nelle ore in cui il sole picchia forte, quando, come scriveva la famosa etnologa biellese Virginia Majoli Faccio, prevale “l’insidia del meriggio” e la fantasia si materializza mentre il sogno diventa reale.
E tutto é magia.
Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo scrivendo a storiaribelle@gmail.
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