Dopo la tragedia di Pianello, la tentazione – semplice quanto fuorviante – sembra essere quella di attribuire la responsabilità ai Centri per Autori di Violenza (CUAV). Ma questo femminicidio non è il risultato di una “mancata corsia preferenziale” da parte di un centro: è la conseguenza dell’assenza di un sistema che permetta davvero di lavorare in sicurezza e in modo coordinato.
RELIVE, la rete nazionale che riunisce oltre 40 CUAV, respinge con fermezza questa narrazione, che sposta l’attenzione dal problema reale: la mancanza di un sistema che metta i servizi nelle condizioni di operare con informazioni complete, risorse adeguate e un quadro istituzionale coordinato.
I fatti sono chiari: i CUAV non dispongono di liste infinite né di personale sufficiente per rispondere a tutte le richieste provenienti dai tribunali.
L’ingresso di un uomo in un percorso non è automatico né immediato: richiede una valutazione del rischio, il contatto con la partner, condizioni minime di sicurezza e un lavoro di rete che oggi, molto spesso, non è garantito.
I giudici, conoscendo le condizioni del territorio, possono sempre adottare misure restrittive alternative quando rilevano che un percorso non può essere attivato con le necessarie garanzie. Attribuire a un Centro la responsabilità di un femminicidio perché non aveva disponibilità immediata è una lettura profondamente scorretta.
Un sistema che chiede troppo e sostiene troppo poco
È facile – e forse comodo – puntare il dito su chi ogni giorno opera in condizioni di sottofinanziamento, con carichi crescenti, risorse instabili, un accesso spesso tardivo alle informazioni sulle vittime e quasi mai un coordinamento istituzionale efficace.
Un percorso per uomini autori non si “assegna” come un corso obbligatorio.
È uno strumento complesso di prevenzione, che funziona solo se:
- la rete territoriale è attiva e coordinata;
- esistono risorse adeguate per rispondere alle richieste;
- il Centro può effettuare tutti i controlli di sicurezza, inclusi i contatti con la partner;
- magistratura, servizi e centri antiviolenza comunicano in modo tempestivo.
Oggi, tutto questo molto spesso non c’è. E i CUAV lo denunciano da anni.
I Centri italiani lavorano con standard elevati, con équipe formate e procedure consolidate. Ma senza finanziamenti strutturali, personale sufficiente e un sistema che valuti la priorità dei casi in base al rischio, le liste d’attesa diventano inevitabili.
È importante ribadirlo: non spetta ai CUAV decidere quali casi debbano avere precedenza. I Centri non dispongono di potere coercitivo, non hanno accesso a informazioni complete e non hanno risorse per prendere in carico in emergenza uomini sconosciuti al servizio.
Se lo Stato ritiene che alcuni casi debbano avere priorità, deve creare un sistema che lo renda possibile.
Le richieste di RELIVE
RELIVE chiede che le istituzioni si assumano le proprie responsabilità e intervengano in modo strutturale attraverso:
finanziamenti stabili, non progetti a termine;
un modello nazionale di invio e presa in carico, che includa valutazione del rischio e comunicazione sistematica tra magistratura, servizi e centri;
protocolli di emergenza per i casi ad alto rischio, con risorse dedicate;
riconoscimento formale del fatto che un percorso non può partire senza verifiche di sicurezza, contatto con la partner e condizioni minime per lavorare.
Le responsabilità vanno nominate correttamente
La responsabilità dei femminicidi è sempre di chi li commette.
La responsabilità delle istituzioni è quella di creare le condizioni per ridurre la recidiva e salvaguardare la sicurezza delle donne. Attribuire tali responsabilità ai CUAV significa generare un cortocircuito pericoloso, che rischia di delegittimare uno degli strumenti più efficaci di prevenzione.
RELIVE rinnova la propria disponibilità a collaborare con la magistratura e con tutti gli attori coinvolti, ma chiede rispetto per il lavoro svolto, trasparenza sul funzionamento del sistema e, soprattutto, le condizioni per operare con continuità e sicurezza.
Un Paese che pretende molto dai CUAV ma non li sostiene, non li integra e non li finanzia, sta rinunciando consapevolmente alla prevenzione.
























