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Ultim'ora | 10 dicembre 2025, 13:20

Indonesia e Sri Lanka, le alluvioni provocano un disastro che non fa notizia (o quasi) in Occidente

Indonesia e Sri Lanka, le alluvioni provocano un disastro che non fa notizia (o quasi) in Occidente

(Adnkronos) - Oltre 1.600 morti per le alluvioni in Indonesia e Sri Lanka non bastano per fare notizia. O, almeno, per avere in Occidente l'attenzione che meriterebbe un disastro che sta assumendo proporzioni epocali. Guardando ai numeri e ai danni prodotti dai fenomeni violentissimi che si sono accaniti sul Sudest asiatico, tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre, colpendo anche la Thailandia e la Malesia, torna a farsi strada una domanda che ricorre quando i fatti arrivano da un mondo considerato evidentemente lontano: perché ci occupiamo sempre troppo poco di notizie che hanno così tante conseguenze per la vita delle persone? 

E' la stessa domanda che non trova risposta quando si elencano le guerre dimenticate, il numero di rifugiati e di morti per violenza armata. Coopi - Cooperazione Internazionale fa un bilancio che dovrebbe, almeno, far riflettere: 61 conflitti attivi nel mondo alla fine del 2024, 233.000 persone uccise in episodi di violenza armata, una media di 638 vittime al giorno, una ogni due minuti, e più di 123 milioni costrette a fuggire. L’organizzazione umanitaria, che opera in 33 Paesi, tra cui Sudan, Siria, Libano, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Ciad e Niger, evidenzia come siano oltre 300 milioni le persone che, in tutto il mondo, risultano in condizioni di necessità di assistenza umanitaria e protezione. Emblematico il caso più recente di escalation, quello del Darfur. La capitale, El Fasher nel nord-ovest del Sudan, caduta il 28 ottobre scorso nelle mani delle Forze di supporto rapido (Rsf) dopo 18 mesi di assedio, è teatro di violenze efferate ed esecuzioni sommarie da settimane ormai. Ma quasi nessuno ne parla.  

Perché non siamo capaci di prestare più attenzione? Una prima risposta empirica si lega anche alle alluvioni del Sud esta asiatico: perché non sono coinvolte persone occidentali, se non in pochissimi casi. E' utile in questo senso ricordare quello che successe dopo lo Tsunami del 26 dicembre 2004 nelle stesse aree colpite oggi, quelle dell'Oceano Indiano. Era Natale, e c'erano migliaia di turisti occidentali sulle spiagge spazzate via dal maremoto. I morti, alla fine, furono più di 230mila e l'attenzione dei media occidentali fu per mesi rivolta alle storie delle persone che hanno visto la loro vita spezzata o stravolta, incluse quelle delle 54 vittime italiane.  

C'è anche un'altra differenza che contribuisce a definire il livello dell'attenzione. Alla fine di quel 2004 fu un evento straordinario ed eccezionale, un sisma di magnitudo 9,1, il terzo più violento della storia dopo quelli del Cile nel 1960 e dell'Alaska nel 1964, a innescare lo tsunami. Oggi, le alluvioni che stanno mettendo nuovamente in ginocchio Indonesia e Sri Lanka sono causate da una quantità in eccesso di pioggia.  

Non un solo evento scatenante ma la conseguenza di diversi fattori, che sono tutti facilmente assimilabili al cambiamento climatico in corso. Secondo i meteorologi, la poggia è stata eccezionale perché si sono sommati gli effetti causati dalla Niña, la corrente oceanica che raffredda il centro del Pacifico e spinge il calore verso il sud dell’Asia, e la fase negativa del Dipolo dell’oceano Indiano, ovvero la temperatura anomala di alcune parti dell’oceano Indiano che ha spinto ancora più umidità verso l’Asia. Il risultato è stato un aumento della potenza dei monsoni che ha determinato un evento meteo estremo.  

I rischi, tornando alla sensibilità dei media e all'attenzione dell'Occidente per notizie che non siano di fronte alla nostra porta di casa, sono almeno due: quello dell'assuefazione rispetto a catastrofi naturali che si annunciano sempre più frequenti e anche rispetto alle morti 'degli altri'; quello della diffusione della percezione, del tutto sbagliata, che i danni siano determinati solo dall'arretratezza di una parte di mondo che non è la nostra. Sostanzialmente, ne parliamo poco, o male, perché le notizie che arrivano da lontano non ci riguardano e ci sentiamo, tutto sommato, al sicuro. (Di Fabio Insenga)  

 

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