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Biella | 09 luglio 2017, 08:00

Il biellese magico e misterioso: Gli ‘eroti’ danzanti ed il simbolo fallico nel Battistero di Biella

A cura di Roberto Gremmo

Il biellese magico e misterioso: Gli ‘eroti’ danzanti ed il simbolo fallico nel Battistero di Biella

Nel Piemonte più appartato resistono vestigia di un’antica, segreta devozione popolare d’esaltazione del vigore maschile. 

   Il caso più evidente é quello della cappella di san Giorgio a Peveragno circondata da un bosco affascinante, fornita d’una fonte freschissima che sgorga oggi da una fontanella ma edificata su un masso che senza bisogno di molta fantasia richiama chiaramente il membro maschile.

   La religiosità cristiana lo ha ingolobato solo parzialmente e, secondo il ricercatore locale Piero Barale, la conservazione e l’inserimento in un sito cristiano della singolare pietra rende “molto suggestiva l’ipotesi di un’area “sacra” legata a forme cultuali di arcaiche comunità” dove si sarebbe praticato “un rito fallico di fertilità e di sgravamento”.

   Ancora a fine Ottocento, le donne della val Chiusella portavano al collo il così detto “gropin”, un monile dorato consistente in due palline ed una croce residuo d’un più antico amuleto consistente in un ‘fallus’ di bronzo.

    Ancor più esplicita di richiami alla potenza sessuale del membro maschile é il singolare sincretismo fra cristianesimo ed antiche credenze nella vallata valdostana dell’Evançon. L’eminente studiosa di etnografia alpina Alina Piazza ci ha segnalato che in uno sperone roccioso della frazione Chatillonet di Challant Saint Anselme si trova una chiesetta neogotica dedicata a sant’Anna, “presenza altamente significativa per i riti di fertilità” con accanto uno scivolo propiziatorio della maternità.

   Prima di giungere a Chatillonet, nella frazione Targnod del Comune di Challand Saint Victor, su una roccia a lato della carrozzabile si vede una chiesetta dedicata a “Saint Prejet” ed un cartello scritto dal professor Piergiorgio Thièbat ricorda che il piccolo edificio “E’ intitolato a Saint Prèiect (San Proietto) festeggiato con l’offerta di polli da mettere all’asta, il 25 gennaio ed invocato contro la balbuzie ed i difetti di fondazione nei bambini. Nel patois locale il nome del Santo, Predjet, richiama infatti il verbo predij, parlare”.

   Quello che il cartello non dice é che su una parete esterna del piccolo edificio é stata ricavata una piccola nicchia che lascia scoperta una roccia con una cavità a forma di piede umano.

   Proprio questa sacralità della roccia fa pensare che la più appropriata etimologia dell’attuale “Prèject”, in italiano “Preietto” derivi da quella pietra, ovviamente magica e che la chiesa sia stata eretta sovrapponendosi ad un precedente culto litico pagano.

   Anche l’offerta propiziatoria di animali potrebbe essere un residuo di arcane ritualità sacrificali perché la vittima era un imponente gallo, simbolo vivente di potenza maschile generatrice come dimostra la sua presenza attiva in alcune feste di carnevale del Piemonte rurale.

    Sempre il professor Thièbat ricorda che nella minuscola chiesetta “Secondo titolare é San Valentino”, un mistico personaggio che é universalmente considerato propiziatore di gioiosi rapporti d’innamorati e talvolta venerato con santi come Vito, Vittone o Vitale che richiamano nel loro nome la procreazione e la perpetuazione della stirpe.

   Le reliquie di san Valentino sono conservate nella chiesa di San Vito sulla collina torinese dove persiste la devozione pagana delle pietre della vita di Santa Brigida e di Pecetto, quest’ultima posta sotto il “Brich san Vitèr”, il colle di san Vito.

  A Challand Saint Victor se si voltano le spalle alla cappella di “Préject” e s’alzano gli occhi verso la montagna si scorge un singolare pinnacolo naturale d’una trentina di metri, dall’inequivocabile forma fallica che prende il nome, suggestivo ed evocatore, di “Flambeau d’Arlaz”, la fiaccola (della vita) della regione d’Arlaz.

   Secondo Alina Piazza, questo monolite é stato “disperazione per secoli dei parroci locali”.

   E’ un fatto che una delle ultime preziose fonti di resistenza culturale alpina come il campo di gioco dello sport popolare dello “Tsan” é stato realizzato al “Grand-Höel”, un pianoro elevato a 935 metri sul livello del mare che si stende proprio sotto il fallico “Flambeau”.

   In questo modo, un’attività ludica esclusivamente maschile che permette l’esibizione di vitalità e di audacia viene praticata sotto la benevola protezione di una roccia che nella forma e nel nome evoca la potenza generatrice dell’uomo.

   Ma in val d’Aosta lo spirito etnico identitario é ancora molto forte, mentre i biellesi lo hanno perduto quasi del tutto anche se concezioni del mondo differenti fanno comunque capolino nel linguaggio comune.  

  Nella nostra tradizione orale ammiccamenti e doppi sensi a sfondo sessuale spuntano quando il rospo biellese pretende d’essere il più bell’‘uccello’ della città, usando un termine che gergalmente ancor oggi indica il membro maschile, quello che in Meridione diventa ‘il pesce’.

   Proprio a Biella come a Peveragno nel lontano passato della cristianizzazione é stato inglobato nel Battistero romanico un singolare bassorilievo litico d’origine incerta ma verosimilmente d’età romana. Raffigura due misteriosi personaggi di sesso maschile, entrambi nudi e coi genitali in mostra, uno con una fronda in mano e l’altro abbracciato ad una colonna dall’inequivocabile forma fallica.

   Cosa rappresenti davvero questa singolare scultura non s’é mai capito anche se i due fanciullini esibiscono anch’essi i genitali, sembrano voler agitare una fronda ed eseguire un passo di danza.

   Nel 1881 lo storico Severino Pozzo sostenne che l’arcaica scultura avrebbe raffigurato l’eroico guerriero Ercole assieme al dio Bacco mentre Giuseppe Fontanella nella “Guida al Biellese nel turismo e nell’industria” lo ritiene “un bassorilievo marmoreo raffigurante Ercole con amorini, soggetto pagano dell’epoca dei Cesari, probabilmente proveniente da tombe romane  preesistenti nelle adiacenze”.

   Un noto esperto come Gianni Carlo Sciolla ha più correttamente spiegato che nella lastra sono raffigurati due “eroti”, dunque dei personaggi al centro delle pratiche sessuali (anche oscene) del mondo pagano.  

  L’erudito nobiluomo britannico Richard Payne Knight che alla fine del ‘700 scopriva sorpreso la sopravvivenza di culti fallici nel santuario di Cosma e Damiano ad Isernia notava acutamente che il membro maschile è stato l’unico organo umano raffigurato come dotato di vita indipendente. In effetti, uccelli-mostri e satiri sono i soli “mostri” raffigurati in scene con personaggi umani e la scultura biellese non fa eccezione; accentua anzi l’autonomia del fallo, raffigurato gigantesco, turgido e ritto.

   La lastra con la colonna fallica benché d’origine oscura non é stata collocata in un museo ma orna il portale d’ingresso del più antico edificio religioso cittadino ancora in piedi, il battistero preromanico posto accanto al duomo della città.

   Perché i biellesi abbiano cristianizzato proprio questa lapide non é dato sapere.

    Ma ad accrescere il mistero di quella collocazione si aggiunge il fatto che al centro della piazza del duomo su cui si affaccia il Battistero é stata collocata nell’Ottocento una fontana sovrastata da una statua dello scultore biellese Giuseppe Bottinelli che raffigura Mosé con le famose “corna di luce” che gli spuntano dal capo come nell’analoga statua di Michelangelo e che Knight aveva interpretato come un esempio di permanenza del modello satirico-priapesco. Costretto a rappresentare nel marmo l’immateriale chiarore lo scultore, senza volerlo, doveva fornire al personaggio biblico le protuberanze sul capo che paiono davvero l’attributo più rappresentativo dell’ambivalente natura animalesca di creature ibride come i satiri sessualmente disinibiti di Roma antica o i “Salvèj” dell’emarginazione montana. 

   Nel Biellese non si conoscono devozioni per quei santi Cosma e Damiano che ad Isernia hanno per secoli mobilitato donne imploranti fertilità ed attività sessuale appagante.

   Solo nella campagna di Carisio esiste una chiesa dedicata a San Damiano nella frazione omonima, a poca distanza dalla cascina Campasio dove a fine Ottocento venne catturato il famoso brigante Francesco Demichelis detto “l’ Biondin”.

   V’é comunque da ricordare che proprio in quella zona, fra “Ij Nar” e l’Elf lo studioso Durandi collocava le selve dei culti pagani.

  Praticati nei boschi cari ai ‘druidi’ di Vittimula, soggiogati da quei romani felloni che avevano terrore delle foreste, abbattendole dappertutto.

  Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo scrivendo a storiaribelle@gmail.

   Per approfondire questi argomenti segnaliamo due libri pubblicati da Storia Ribelle casella postale 292 - 13900 Biella.

Roberto Gremmo

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