/ ATTUALITÀ

ATTUALITÀ | 18 febbraio 2014, 07:08

Fila: orgoglio coreano, rimpianto biellese

L'azienda che vestiva l'Italia degli sport invernali con le divise create in viale Cesare Battisti ora è sulle divise della Corea del Sud alle Olimpiadi di Sochi. Del resto in Corea stanno proprietà e sede. E a Biella restano i ricordi

Fila: orgoglio coreano, rimpianto biellese

A ben pensarci è solo questione di punti di vista. Un tifoso coreano che guarda le Olimpiadi di Sochi è orgoglioso della sua squadra, che indossa uniformi con un marchio antico e prestigioso, diventato da pochi anni una gloria della politica finanziaria e industriale del suo paese. Un tifoso italiano pensa a quando il marchio della Fila era sulle tute azzurre, ai tempi di Alberto Tomba, e sospira di nostalgia anche se non sa nulla delle vicissitudini dell'azienda e, magari, è convinto che si tratti ancora di Made in Italy. Un tifoso biellese invece chiude gli occhi e pensa alla storica sede di viale Cesare Battisti, vuota da anni, a uno spazio commerciale sulla Trossi, dove c'era un enorme outlet, e ai magazzini di Massazza, appena un po' più giù. Di cui non resta che il ricordo.

La Fila, nata a Coggiola sulle prealpi della Valsessera più di cento anni fa, adesso è a tutti gli effetti un'azienda coreana. O meglio, è una multinazionale, architettata a scatole concentriche, ma la casa madre ha sede, capitali e management coreani. A capo della Fila Korea c'è Gene Yoon, vero nome Yoon Yoon-So, che nel 2005 ha speso 127 milioni di dollari per acquistare le azioni della filiale coreana ancora detenute da Fila Global. Fu il primo passo per l'orientalizzazione dell'azienda, completato nel 2007, con l'acquisto anche di Fila Luxembourg, la proprietaria del marchio, e di tutte le imprese che, a cascata e in tutto il mondo, dipendevano dalla casa madre. E Biella? Aveva cominciato a sparire dal 2003. Cinque anni dopo aver vestito l'intera squadra olimpica italiana ai giochi invernali di Nagano, poco meno di trenta dopo aver rivoluzionato il mondo del tennis facendo indossare una maglietta con fregi colorati a Bjorn Borg, la Fila venne ceduta a un fondo d'investimento americano dal nome non esattamente amichevole: Cerberus.

Per rilevarlo, Cerberus (che, secondo Wikipedia, ha avuto a che fare con l'ex vicepresidente Usa Dan Quayle e con un tentativo fallito di salvare la Chrysler prima che ci pensasse il governo americano) ha fondato un'azienda apposta, la Sports Brand Management, con sede alle isole Bermuda. Quella che era la Fratelli Fila di Coggiola e, negli anni Settanta, iniziò sotto la guida del manager Enrico Frachey la scalata nell'olimpo dei marchi sportivi mondiali, finiva la sua storia italiana con una cessione, firmata da Rcs Mediagroup. Marchio che l'immaginario associa ancora all'editoria.

Ok, serve fare ordine. All'inizio degli anni Ottanta, la Fila aveva già adottato il suo logo-icona e si era lanciata nel mercato mondiale investendo in marketing e sponsorizzazioni come nessuna impresa biellese aveva mai fatto. Fu allora che attirò l'interesse della finanza, in particolare di Cesare Romiti, storico braccio destro di Gianni Agnelli dalle parti di “mamma” Fiat. Nel 1984 la Snia presieduta da Romiti, società per azioni che ricavava il 32% dei suoi 1184 miliardi di fatturato dal settore degli armamenti, comprò l'80% delle azioni di Fila, che allora contava 500 dipendenti, la maggior parte dei quali a Biella. Nel 1988 c'è ancora Cesare Romiti alla guida della Gemina, che compra la porzione di Fila posseduta dalla Snia, in un momento in cui fatturava 90 miliardi ma ne perdeva 3. Nel 1997 la Gemina si scinde e crea Hdp per le sue partecipazioni industriali: il gruppo editoriale del Corriere della Sera e il comparto tessile con Fila, con Gft (chi si ricorda il negozio a Biella in via Repubblica?) e con la griffe Valentino. Nel 2001 iniziano le trattative per la cessione di Fila, che si concretizza nel 2003, quando i conti sono in rosso, su impulso del presidente di Hdp Maurizio Romiti, figlio di Cesare. Nel patto di sindacato di Hdp spiccano nomi come quello di Marco Tronchetti Provera (Pirelli) e Francesco Gaetano Caltagirone (editore e costruttore). Nel momento della firma per la vendita a Cerberus, attraverso la sua controllata Sports Brands International, Hdp si chiama già Rcs Mediagroup e intende concentrarsi solo sull'editoria, Fila Holding è quotata in borsa, ma solo a New York e vale, secondo la cifra in calce al contratto di cessione, 351 milioni di dollari, a cui si sottraggono i 295 milioni di dollari di indebitamento.

Finanza, finanza e poi ancora finanza: la “biellesità” di Fila era ormai una cosa da libri di storia. E vero, nell'era Romiti-Frachey, il cuore pulsante era ancora in viale Cesare Battisti: lì si disegnavano i modelli, lì si studiavano i tessuti hi-tech per le varie discipline sportive, lì sfilavano i campioni per le foto ricordo, come l'intera squadra azzurra di sport invernali a fine anni Novanta, chiamata a raccolta ogni autunno per le premiazioni a beneficio della stampa specializzata e del marketing. Ma se è la finanza a guidare, e se il marchio è globale, il dove si produce e il dove si progetta passano in secondo piano. Fu così che, sotto la guida di Sports Brands International, la Fila si “sbiellesizzò” progressivamente. Prima il trasloco a Milano della sede centrale italiana. Poi la cessione dell'intera Fila alla (ex) filiale coreana. Infine la chiusura della sede milanese, nel 2011, con il ritorno a Biella dei venti (rispetto ai 500 di trent'anni prima) dipendenti italiani, prima ospitati nell'ex outlet di Verrone e poi, dopo un'ulteriore riduzione di numero, nella nuova sede di via Seminari in città, dove sopravvivono la sede di Fila Europe e il museo della Fondazione Fila, aperto su prenotazione, con i cimeli dei campioni dello sport che hanno vestito il marchio nella storia. Punti di vista, appunto.

Se a Biella restano i ricordi, in Corea è il presente a sorridere. Merito dell'intraprendenza di Gene Yoon, finanziere e imprenditore che è riuscito nella scalata ai vertici di uno dei brand icona dello sport mondiale. Occhiali, sorriso in quasi tutte le fotografie, capelli radi con riporto d'ordinanza, Yoon ha raccontato se stesso ai sudcoreani qualche anno fa in un'autobiografia intitolata: “Come ho ottenuto un salario annuale da 1,8 miliardi di won”. Ovvero 1 milione e 250mila euro al cambio attuale. Era il 1997 e aveva già fondato Fila Korea dal 1991. Non fu facile: dopo aver visto negli Usa l'abbigliamento Fila, cercò di ottenere la licenza per produrre e vendere scarpe con la “effe” rossa e blu negli Stati Uniti. Ma qualcuno aveva già la licenza da anni: si chiamava Homer Altice e, quando incontrò Yoon, non navigava in buone acque finanziarie. Così Yoon gli presentò un ex compagno di scuola (a proposito: fu respinto due volte dalla facolta di medicina a Seul) che lavorava nel comparto americano di una finanziaria coreana. Ottenuti i fondi, Altice affidò a Yoon la produzione di scarpe. E, mentre gli Usa si riempivano di calzature Fila “made in Korea”, Yoon si accreditò presso la casa madre. E ottenne la licenza per fondare Fila Korea. Un'intervista del Korea Times del 2012 ha ripescato una vecchia fotografia con Yoon a tavola insieme a Michele Scannavini, che fu amministratore delegato della Fila negli anni Novanta, in quella che sembra la terrazza panoramica del ristorante del circolo I Faggi, con Biella ai loro piedi.

Nel 1991 Yoon non possedeva che il 10% delle azioni di Fila Korea: da Biella gli avevano offerto il 45% del pacchetto azionario, ma non aveva i soldi per acquistarlo. Altri tempi. È del 2007 un documento del garante della concorrenza, a firma del presidente Antonio Catricalà, che dà il via libera per la cessione a Fila Korea dell'intera parte europea del gruppo. Documento che consente di sbirciare dentro le scatole concentriche in cui negli anni è stata suddivisa l'azienda: a Fila Luxembourg spetta il controllo del brand, ovvero delle licenze di produzione e commercializzazione dei prodotti a marchio Fila, che concede a terzi, ovvero a una miriade di aziende ai quattro angoli nel mondo che portano il nome Fila: Hong Kong, Singapore, Taiwan, Argentina, Brasile, Usa, Canada, Francia, Regno Unito, Spagna, Germania e, naturalmente, Italia con i nomi di Fila Europe e Fila Mountain. Tra queste ha una posizione privilegiata Fila Nederland, con sede in Olanda, la holding che esercita il controllo sulle filiali. Un dedalo di nomi e di aziende, in grado di fatturare (dati del 2006) 290 milioni di euro, mentre la sola Fila Korea arrivava a 219 milioni di euro. Che il vertice della piramide aziendale sia in Olanda e Lussemburgo non è una novità nel mondo dell'alta finanza: far risultare là gli utili vuol dire assoggettarli (in modo legale) a un regime fiscale più conveniente.

Intanto Gene Yoon, dal 2010 cittadino onorario di Biella dopo la consegna del Sigillo d'Oro al sindaco Dino Gentile, continua la sua politica di espansione: i due nuovi mercati da aggredire sono l'India e il mondo del golf. Per il primo, è stato messo sotto contratto pubblicitario Virender Sehwang, star del cricket (e prima ancora era diventata testimonial Fila Paris Hilton). Per il secondo, è stato concluso l'acquisto di Acushnet, uno dei più grandi produttori di equipaggiamento tecnico di golf al mondo, con un giro d'affari annuo di 1,2 miliardi di dollari. L'acquisto, firmato da Fila Korea, da un fondo d'investimento e da Nps Korea (l'Inps coreana, nel senso che è l'azienda pubblica che paga le pensioni) è valso un assegno staccato da 1,23 miliardi di dollari. Finanza, ancora finanza. E orgoglio nazionale, nelle “effe” rosse e blu che decorano le divise dei pattinatori coreani alle Olimpiadi di Sochi. A Biella solo i ricordi, chiusi dentro un museo visitabile su prenotazione. E un sussulto di rimpianto, per un patrimonio biellese che le regole della finanza hanno portato a migliaia di chilometri di distanza.

Giampiero Canneddu

Ti potrebbero interessare anche:

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore