ELEZIONI COMUNE DI BIELLA
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| 02 ottobre 2013, 09:00

Silvia Avallone, Aldo Grasso e la Biella del 1990

La scrittrice di Marina Bellezza, il critico del Corriere della Sera e le loro fotografie su Biella che fanno discutere. Proprio come accadde con un reportage di Repubblica. Che oggi sembra più vecchio di 23 anni

Silvia Avallone, Aldo Grasso e la Biella del 1990

Leggerò con impaziente curiosità “Marina Bellezza”, il romanzo che Silvia Avallone, scrittrice biellese di nascita (ci ha vissuto fino all'età di sedici anni) e bolognese di adozione, ha voluto ambientare dalle nostre parti. Per leggerlo supererò anche la mia naturale avversione ai “libri del momento”, lanciati da campagne pubblicitarie e da passaparola invadenti. Ci ho messo quattro anni a comprare Gomorra, per dire. E qui Rizzoli, editrice di Silvia Avallone, sta mettendo buone basi perché non si parli d'altro attorno alle librerie, non solo a Biella: una recensione che ha aperto la sezione cultura del Corriere della Sera (stesso editore) a firma dello strafamoso critico tv Aldo Grasso e poi un'intervista sul femminile Io Donna realizzata da Dario Di Vico, vicedirettore del Corrierone stesso. Insomma, una potenza di fuoco promozionale che il 95% degli autori italiani si sogna.

Ma stavolta la curiosità vince. Anche perché sono bastate quella recensione di Aldo Grasso e l'anticipazione del romanzo pubblicata accanto a suscitare qualche reazione nostrana. Qualcuna l'ha ospitata anche NewsBiella: la Valle Cervo che non è solo archeologia e bei ricordi e la Trossi che non è solo una replica della route 66 americana, tutta capannoni sfitti e cartelloni pubblicitari giganti. Punti nel vivo e nell'orgoglio, insomma. In attesa di scoprire come apparirà davvero Biella nella fotografia di Silvia Avallone, però, tutto questo mi ha ricordato un precedente di quasi 25 anni fa: il quotidiano la Repubblica spedì un'inviata dalla penna fine per raccontare quel paradiso che sembrava essere la nostra provincia. Tutti, del lungo articolo, notarono soprattutto un dettaglio: quella scena ambientata in centro in cui i biellesi sono descritti come quelli che “ti toccano”, perché vogliono saggiare sotto i sapienti polpastrelli la consistenza del tessuto che si indossa. E se giacca e cappotto sono di lana fine, allora chiacchierano. Altrimenti tacciono. Ed è un brutto segno.

Se ne fece, di rumore, attorno quelle righe scritte da Renata Pisu, inviata pluripremiata, anni di vita passati in Cina, in quella stessa via Italia che lei descriveva così minuziosamente, perfino nei bar. Un rumore in cui si distingueva un ritornello: noi non siamo così. Ma che cos'altro c'era in quella fotografia? Dettagli che, visti adesso, fanno sembrare questi ventitré anni (l'articolo è datato 1990) un'era glaciale, al termine della quale si sono estinti i dinosauri. I bar che cita Renata Pisu, per esempio, sono Fortunio, quello degli uomini, e Ferrua, quello delle donne. Il primo è ancora aperto, ma con nuovi arredi, nuovo stile e una nuova gestione. Sono lontani i tempi in cui era sede del “club dei dadi” (con il vicequestore, il commerciante di lane Piergiuseppe Alvigini e altri, non menzionati, “pochi eletti”), probabilmente nella saletta sul retro, bonariamente sorvegliati da Fortunio Boraine, il pasticciere partigiano che organizzava il catering per il Quirinale. E il secondo è chiuso: i suoi splendidi arredi d'epoca in legno, degni dei più storici locali di Torino, si scorgono appena tra le saracinesche abbassate. I circoli, quelli, ci sono ancora: Sociale, Commerciale, Lyons, Rotary. A quello di Valle Mosso la giornalista fu accompagnata da monsignor Oscar Lacchio, allora direttore de Il Biellese e, soprattutto, uno dei pochi possessori in Italia di un telefono mobile in auto. Dettaglio che l'inviata annotò. Al Rotary quella sera parlava Giorgio Frignani, titolare delle Lane Grawitz di Gaglianico. L'azienda chiese l'amministrazione controllata nel 1992, solo due anni dopo, prime crepe nel sistema idilliaco descritto da Renata Pisu (che peraltro non menzionò il rumoroso crac del gruppo Bertrand di pochi mesi prima). Per lei quello era il sistema in cui chi non era imprenditore aspirava a esserlo, in cui "i genitori d' estate accompagnano i figli in gita a vedere la fabbrica dove andranno a lavorare quando saranno grandi; e gli studenti dell'ultimo anno di ragioneria sono già subissati da offerte di lavoro allettanti perché non c'è fabbrica che non abbia bisogno di qualcuno che sappia fare bene i conti".

Ecco la distanza da era glaciale, oggi che i dati sulla disoccupazione in provincia colpiscono duro sia la fascia d'età dei genitori sia quella dei figli. Quella fotografia non riuscì a cogliere i segni di declino, forse perché gli anfitrioni biellesi dell'epoca furono bravissimi a metterli nell'angolo più buio. Come altri dettagli sfuocati: i ragazzi all'uscita da scuola "tutti celti di stirpe", perché "qui non ci sono state ondate di emigrazione dall'Italia meridionale" (nel 1989, l'anno prima, avevo finito le superiori in una classe con siciliani, pugliesi, veneti, un sardo – io – insieme ai ragazzi delle valli Cervo e Elvo). Quelli all'uscita del concerto di musica classica a Candelo che vanno in discoteca solo qualche volta e non guardano la tv e i loro genitori guardavano solo documentari perché c'è sempre qualcosa da imparare (io guardavo la tv e andavo ai Cammelli, sempre a Candelo, un filo più rock della musica classica e anche delle discoteche più perfettine della città). O l'anonimo notabile vestito chic al bancone di Fortunio che predisse: "Qui le leghe non prenderanno mai piede". Quattro anni dopo, nel 1994, Claudio Regis divenne senatore con il 42% e Stefano Aimone Prina, suo compagno di partito, venne nominato sottosegretario ai lavori pubblici, dopo l'elezione alla Camera. Forse, chissà, votati anche da quel notabile lì.

E poi, su note più serie, la cultura d'impresa e la monocoltura tessile, la dicotomia tra lo splendido isolamento e l'aprirsi al mondo. E le parole di un imprenditore "che si è districato dalla matassa della lana", Paolo Lavino: allora era descritto come il creatore dell'Euronova, ora ha marchi come Bottega Verde, Mondoffice o Naj Oleari, sempre a debita distanza dalle lane nobili. Dice l'articolo: "Biella è un riferimento ideale della cultura d' impresa, sostiene Lavino. E di sicuro sa quello che dice. Sostiene anche che nel biellese bisognerebbe diversificare perché sono tutti, ma proprio tutti nella lana". Visto oggi, quel dettaglio della foto sfuocata, fa pensare. Perché anche le foto sfuocate, in cui non ci riconosciamo, le ha scattate qualcuno. Vuol dire che Silvana Pisu ieri, o Silvia Avallone oggi, ci hanno visto così. E, magari, il bello della foto sta proprio in quel dettaglio in cui non riusciamo a riconoscerci.

Ps: se siete curiosi, trovate qui il testo integrale di quel reportage di La Repubblica del 1990. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/18/nel-regno-del-cachemire-dove-la-vita.html

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