Il settore dell’artigianato moda in Piemonte è in grave difficoltà. A lanciare l’allarme è Confartigianato Imprese Piemonte, che fotografa una situazione critica e in peggioramento per un comparto strategico dell’economia regionale e nazionale. Secondo i dati di Unioncamere Piemonte, tra il 31 marzo 2019 e il 31 marzo 2025 hanno cessato l’attività ben 229 imprese artigiane del settore moda. Il numero complessivo è passato da 2.458 a 2.229 unità: un calo che minaccia di spazzare via un’intera filiera produttiva storicamente radicata nel territorio.
Samantha Panza, Presidente di Confartigianato Imprese Piemonte Abbigliamento, non nasconde la preoccupazione: «Le nostre imprese stanno affrontando sfide senza precedenti. Dopo aver superato la pandemia, oggi devono confrontarsi con tensioni geopolitiche, normative europee sempre più stringenti – in particolare sulla sostenibilità – e una pressione costante sulla competitività. Il sistema moda piemontese, fatto in larga parte da imprese familiari, rischia la chiusura definitiva».
Una crisi che non riguarda solo il Piemonte, ma investe tutto il comparto moda a livello nazionale. In Italia, il settore conta oltre 60.000 imprese manifatturiere e più di 600.000 lavoratori. La convocazione per il 6 agosto del Tavolo di Crisi del Sistema Moda da parte del Governo rappresenta un primo riconoscimento istituzionale della gravità della situazione.
Giorgio Felici, Presidente di Confartigianato Imprese Piemonte, interviene con richieste concrete: «Chiediamo al Ministero misure ad hoc per la salvaguardia dei livelli occupazionali, una politica mirata di sostegno al credito e norme che facilitino l’adozione di nuove tecnologie e strumenti digitali. Se vogliamo che il Made in Italy resti un’eccellenza internazionale, è fondamentale valorizzare e sostenere le piccole e medie imprese che ne sono l’anima produttiva».
Il sistema moda artigianale non si identifica solo con le grandi firme, ma con una rete diffusa di artigiani che realizzano capi unici con abilità e passione. Questa realtà, però, è messa a dura prova da molteplici fattori strutturali. L’espansione dell’e-commerce penalizza le aziende meno digitalizzate; l’inflazione incide pesantemente sui costi operativi; i criteri di accesso al credito restano troppo rigidi per molte imprese artigiane. A ciò si aggiunge la concorrenza di Paesi con bassi costi del lavoro, il cambiamento delle abitudini di consumo (che premiano fast fashion e abbigliamento sportivo) e la diffusione dell’illegalità con laboratori abusivi difficili da identificare.
Inoltre, se da un lato le nuove politiche europee in tema di sostenibilità e trasparenza spingono verso produzioni più etiche e green, dall’altro comportano oneri aggiuntivi per le imprese già in affanno. Molte realtà artigiane cercano di espandersi all’estero, ma per farlo servono competenze specifiche e investimenti mirati.
«La qualità delle nostre produzioni è riconosciuta in tutto il mondo – sottolinea ancora Samantha Panza – ed è giunto il momento di garantire stabilità e futuro a un marchio di valore come il Made in Italy. La sfida è impegnativa, ma non possiamo permettere che un patrimonio di competenze e tradizione venga cancellato».
L’appello è chiaro: servono interventi tempestivi, mirati e strutturali. In gioco non c’è solo il futuro di migliaia di imprese, ma anche quello di un intero comparto che rappresenta un pilastro dell’identità e dell’economia italiana.





