SPORT - 08 gennaio 2023, 06:50

E dopo Sinisa e Pelè è toccato anche a Vialli, dolore e sgomento tra gli sportivi

Domenica si osserverà un minuto di silenzio in suo ricordo ma sarebbe bello, ultras in testa, che il suo esempio di uomo di sport, che amava in modo viscerale, venisse preso a modello e fosse praticato da tutti.

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E dopo Sinisa e Pelè è toccato anche a Vialli, dolore e sgomento tra gli sportivi

E dopo Sinisa e Pelè è toccato anche a Vialli. La malattia del secolo non ha né bandiere né colori e acquisisce tra le sue schiere sempre nuovi campioni, certo che le “convocazioni” di queste ultime tre settimane lasciano basiti per la continuità con cui versano dolore e stupore.

La sensazione che queste malattie non diano scampo a nessuno e si facciano beffe delle notorietà o meno di chi viene colpito. E allora fioccano i ricordi e il cordoglio unanime che sui profili social di ciascuno di noi trabocca di ricordi e di sensazioni. Di Vialli ha sempre colpito la sua carica di umanità, dell’uomo di provincia che diventa famoso ma non lo fa pesare e della sua voglia di emergere anche se sei ai margini del calcio che conta. L’epopea della Sampdoria è tutta lì, capace in pochi anni, grazie al dinamico duo Vialli Mancini, di vincere un titolo niente affatto scontato e di approdare poi alla finale di Champions di Wembley persa negli ultimi minuti contro il Barcellona di Rambo Koeman.

La maturità alla Juve a cui porta in dote una Champions che lo ripaga delle delusioni di cinque anni prima e poi una carriera da allenatore, ma se vogliamo più da direttore sportivo in Inghilterra dove vince forse il titolo più importante, sempre in coppia con Mancini il trofeo continentale. Commovente rimane quell’abbraccio con il Mancio, carico di lacrime, mentre Vialli era già preda della malattia. Vialli era un giocatore di talento che, anche se te lo trovavi da avversario, non lo detestavi, perché non era sbruffone e ne ammiravi il talento cristallino.

Ebbe persino il coraggio di rifiutare il corteggiamento di Berlusconi che lo avrebbe voluto al Milan, ma lui non amava il palcoscenico, era più schivo e così lo è stato fino in fondo quando ha annunciato di voler combattere la sua lotta contro il male lasciando il mondo del calcio per dedicarsi a quest’ultima partita. Domenica si osserverà un minuto di silenzio in suo ricordo ma sarebbe bello, ultras in testa, che il suo esempio di uomo di sport, che amava in modo viscerale, venisse preso a modello e fosse praticato da tutti. Uno spettacolo non urlato in cui si applaude al gesto tecnico e si affrontano anche le sfide più importanti ma sempre con il sorriso sulle labbra

Giuseppe Rasolo

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