In gergo vengono chiamate “fonti confidenziali”. Altro non sono che gli “informatori” e il loro utilizzo, da parte delle Forze dell’Ordine, risale alla notte dei tempi. Quando ancora scienza e tecnologia non avevano fatto la loro prepotente irruzione nelle indagini, ogni buon poliziotto, o carabiniere, ne aveva almeno un paio o più, da utilizzare al bisogno. Solitamente era un piccolo delinquente, che veniva lasciato tranquillo, purché raccogliesse voci utili, piuttosto che qualcuno che aveva partecipato a un colpo e, per non finire in galera, accettava di “vendere” i compagni. Poi, ovviamente, il suo nome spariva dai verbali, anzi, non ci finiva proprio.
Vecchie storie di guardie e ladri, che appartengono ancora al presente, visto che è proprio per causa di un informatore che due poliziotti, G.M. e U.E., si trovano sotto processo, per aver omesso appunto nel verbale, dopo il sequestro di mezzo chilo di hashish, la presenza nell’intervento di un pregiudicato e della sua convivente. Fatti che risalgono al settembre del 2009, nell’ambito di un’operazione partita dalla Questura di Novara. Ora il processo è alle battute finali, dopo che sono stati sentiti i testi a difesa. Anche uno degli agenti imputati ha voluto testimoniare, ricordando come, in quel periodo, settimanalmente, grazie al suo lavoro, riuscisse a bloccare, sul territorio, l’attività di spaccio.
Si torna in aula il 29 ottobre per la discussione.





