“Una colomba. C'è una colomba per terra”.
Stavo andando al cinema per l'ultimo Harry Potter, me lo ricordo bene. Attraversavo il centro storico di Chivasso con la mente proiettata a maghi, ippogrifi e unicorni e ci misi un attimo a ritornare nel mondo reale. Quella che il mio accompagnatore stava indicando col mento non era la civetta Edvige. Era una piccola colomba con la coda a ventaglio, sporca, incapace di stare in piedi, accoccolata di fianco al portone del Duomo cittadino.
Mi fermai di botto e un signore anziano si avvicinò immediatamente: “Sono ore che la guardo! Non sta bene. Stamattina c'era un matrimonio, ne hanno liberate due... L'altra è finita sotto a una macchina. Finisce sempre così”.
Era domenica pomeriggio, non ne sapevamo niente di volatili e io avevo sempre avuto timore a prenderli in braccio, terrorizzata dal pensiero di fare male a quelle creaturine dalle ossa fragili. Però non potevamo lasciarla lì, a morire nello sporco. La presi delicatamente in mano e, in mezzo a una serie di occhi sgranati (e a un paio di domande: “Ah, è sua?”, come se fosse normale passeggiare con in braccio una colomba sporca, puzzolente e moribonda), feci dietro-front verso la macchina, per permetterle di passare in serenità le ultime ore di vita.
Ho rivisto una colomba uguale identica in una foto, anzi: in un'intera sequenza di foto. E probabilmente l'avete vista anche voi, la scorsa domenica. Prima, un post di Repubblica.it che annunciava: "Guardate cosa è successo alle colombe del Papa - Fotogallery". Poi uno, due, tre contatti che, nel giro di qualche minuto, hanno condiviso lo stesso link su Facebook, commentando con le paroline magiche "Vergogna!", "E' ora di finirla!", "Basta!".
Apro una parentesi, a questo punto: una cosa che ho imparato è che non è un buon segno quando un numero insolitamente alto di contatti condivide la stessa notizia sugli animali. "Fa' che siano gattini che si abbracciano! Fa' che siano gattini che si abbracciano!" mi ripeto come un mantra mentre clicco sul link virale. Ma la parte realista sa già che, 9 volte su 10, sarà una di quelle notizie che rendono peggiore la giornata.E niente di bello poteva essere successo a quelle colombe.
Così, mentre la voce "Fa' che siano gattini..." si faceva sempre più flebile, vidi quello che altre migliaia di persone avevano già visto: le colombe bianche liberate da Papa Francesco al termine dell'Angelus erano state attaccate da un gabbiano e da una cornacchia.
Non ho prestato attenzione ai commenti che indicavano l'incidente come un segnale di sventura o addirittura dell'apocalisse imminente. Anni di Voyager mi hanno temprata a sufficienza.
Mi sono infastidita un po', lo ammetto, per quelli che parlavano di “Colombe della Pace”, come se il fatto di essere un simbolo (non per scelta, ma per tradizione - parola che appartiene alla triade più spaventosa per gli animalisti, insieme a "ignoranza" e "crudeltà") giustificasse qualche effetto collaterale o qualche piccolo incidente di percorso. Peccato solo, penseranno costoro, che dopo le bombe intelligenti non siano stati progettati anche i predatori selettivi, predisposti alla cattura dei soli piccioni, che non sono simbolo di nulla e non sono neppure graziosi come le colombine (de gustibus, tra l'altro. A me, all'Unione Salvaguardia Colombi e di sicuro a molti di voi piacciono un sacco). Certo, c'è anche il piano B: gli animali potrebbero essere lasciati in pace e sostituiti da simboli altrettanto accattivanti, senza crudeltà e senza rischio di essere ghermiti in mondo visione. Immaginate solo l'istantanea di mille colombe di carta che si librano nel cielo romano, sulla falsariga delle gru beneauguranti della tradizione giapponese: non mi stancherei mai di guardarlo, uno spettacolo così.
Quelli che mi hanno fatto arrabbiare di più, però, non sono stati i paladini del rispetto-ad-ogni-costo di tradizioni e simboli. Stavolta, i maggiori responsabili del mio malumore sono stati coloro che hanno tirato in ballo la Natura: “Eh, è il ciclo della vita”. “Predatori e prede, è sempre stato così”.
Un passero preso da un falchetto: quello è naturale. Una lepre presa da una volpe: quello è naturale. Lo impariamo la prima volta che vediamo un documentario e lo accettiamo, anche se non ci piace, anche se non del tutto (è il motivo per cui ho smesso di guardare documentari, per dire).
Ma quelle colombelle bianche, che in Natura neanche esistono e sono state create a tavolino tramite selezioni secolari, allevate e nutrite dall'uomo nell'ambiente neutro e protetto di una voliera, che di colpo vengono liberate senza risorse e devono cavarsele da sole, tra cornacchie e gabbiani (che, tradizione per tradizione, dovrebbero stare su una spiaggia, non in mezzo all'Urbe): siamo sicuri che sia la Natura?
È sempre lei l'unica responsabile delle continue nascite di cuccioli figli di randagi, che quando va bene diventano randagi a loro volta e quando va male (quasi sempre) muoiono di stenti, sotto una macchina o vittime del sadismo umano? Quegli stessi randagi si sono auto-creati, o la loro presenza è stata indotta dall'uomo, che aborrisce la sterilizzazione perché "è contro-natura" (le cucciolate a getto continuo e a morte rapida, signori miei: quelle sì che sono naturali)?
È colpa dell'istinto naturale se un cane afferra un coniglietto che qualcuno ha abbandonato in un prato e gli spezza la schiena (fatto successo solo qualche mese fa), o del demente che ha liberato un animale domestico, totalmente privo del bagaglio di conoscenze dei progenitori selvatici e senza alcuna risorsa per cavarsela nel mondo esterno?
Liberato, ecco un'altra parola magica. “Ha vissuto poco, ma almeno è morto libero”: seriamente? Mi chiedo se chi lo afferma (e sono tanti) avrebbe il coraggio a dirlo a Teo, il mio cane, reduce da due abbandoni e che ora vive in simbiosi con la stufa e il divano, pensando davvero che fosse più felice quand'era “libero” (di finire sotto una macchina, di essere allontanato a colpi di scopa, di cercare qualcosa da mangiare in questo cassonetto o in quell'altro).
La libertà è magnifica, è la nostra aspirazione massima, un ideale per cui combattere sempre. Ma senza i mezzi per viverla davvero, senza protezioni e senza possibilità di scelta, la libertà diventa pericolosissima. Liberate un animale da una gabbia, portatelo a casa, curatelo e rispettatelo. Ecco il senso della liberazione. Il resto è un mix letale di ignoranza, ingenuità ed egoismo.
La “cultura” è entrata nella natura, da secoli l'uomo gioca a fare il dio sostituendo gli equilibri e creandone di nuovi: abbia almeno il coraggio di essere responsabile. Senza cercare giustificazioni sotto l'ombrello “è la Natura”, quella stessa Natura che è continuamente violata, derisa, offesa e tirata in ballo solo quando serve. Perché certi gesti sono solo frutto di comportamenti incoscienti, ignoranti, immaturi. Non naturali, ma umani, troppo umani.
Due postille. La prima: sono attive tantissime petizioni per chiedere a Papa Francesco di interrompere il tradizionale lancio delle "colombe della pace". Tra le altre, segnalo quelle di Care2, ENPA e YouAnimal.it. Personalmente provo sentimenti ambivalenti nei confronti delle petizioni, un po' come verso gli oroscopi ("non-è-vero-ma-ci-credo"). Forse non servono sempre, ma vale lo stesso messaggio della condivisione degli appelli: farlo è meglio che non farlo. Tanto vale provare. E se conoscete persone in procinto di sposarsi, per favore: impiegate qualche minuto di tempo per spiegare che non è una buona idea "liberare" delle colombe alla fine della cerimonia. La percentuale di quelle che muoiono è altissima. Non ho idea di quanto possano costare le colombe, ma sono sicura che quei soldi possono essere impiegati in qualcosa di più bello, costruttivo e senza morti sulla coscienza. Sì, sulla mia anche quella di due colombe peserebbe come un macigno. E no, non mi vergogno a dirlo.
La seconda postilla: Volete sapere com'è finita con la colomba di cui scrivevo all'inizio del post? Giunti a casa, la sistemammo in una scatola, cercando di darle da bere un po' di acqua fresca e mettendole a disposizione una ciotolina di granaglie, su consiglio della preziosissima amica Wilma. Non c'era molto altro che potessimo fare, se non assicurarle tutta la tranquillità possibile per andarsene in pace. Tre ore e un film di Harry Potter dopo, di ritorno a casa, vigliaccamente chiesi al mio compagno di aprire la scatola, sicura com'ero di trovarci la colombella morta. Ma bastarono due occhietti vivaci per farci capire che il Requiem era stato prematuro. Uscita dal suo riparo improvvisato, la colomba (ci vedete insieme nella foto-ricordo) passò la serata appollaiata sul divano e tentando qualche timidissimo volo tra un mobile e l'altro.
Il giorno successivo, in mezzo ai tentativi tragicomici di trovarle una casa (un'associazione che per statuto si occupa di uccelli rispose che non era abbastanza selvatica: "Sapete, fosse stato un bel gheppio..."), scoprimmo che un vicino di casa era un appassionato di colombi. Fu felice di accoglierla in una grande voliera, insieme ad altri colombelle bianche come lei. Dopo un giorno gli saliva sulla spalla, apriva la coda a raggiera e, senza che nessuno gliel'avesse insegnato, si muoveva leggiadra e navigata come l'assistente di un illusionista. Mostrandoci, qualora ce ne fosse stato bisogno, che la magia è ovunque, non solo sul grande schermo.