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Newsbiella Young | 08 giugno 2025, 06:50

Femminicidio, una realtà che tocca anche i giovani: il silenzio non è contemplato

Le riflessioni di una studentessa biellese sull'ennesima tragica violenza: "La società che confonde l’amore con il possesso".

Femminicidio, una realtà che tocca anche i giovani: il silenzio non è contemplato.

Femminicidio, una realtà che tocca anche i giovani: il silenzio non è contemplato.

Quando ho letto della morte di Martina Carbonaro, ho sentito un brivido. Aveva solo 14 anni, pochi anni meno di me. In quel momento ho realizzato che quella ragazza avrebbe potuto essere una mia amica, una compagna di classe… avrei potuto essere io. È questo pensiero che mi ha spinta a riflettere su quanto il femminicidio non sia qualcosa di lontano, ma una realtà che può toccare chiunque.

L’uccisione è la situazione più drammatica, ma non bisogna sottovalutare casi di stalking, linguaggio aggressivo, atti violenti... ogni singolo comportamento del proprio partner dev’essere preso in considerazione, e in caso di necessità occorre chiedere aiuto. A seguito di potenziali segnali è necessario chiamare l’1522, al quale risponderanno specialisti che accoglieranno le richieste di aiuto in merito allo stalking e alla violenza di genere.

Perché alcuni ragazzi (senza generalizzazioni) non riescono ad accettare un “no”?

Viviamo in una generazione in cui il genere maschile cerca spesso di imporre la propria volontà e prepotenza sulle ragazze. Ciò deriva probabilmente da un fattore sociale: il ragazzo non vuole mostrarsi debole, accettando un “no” da parte di una ragazza, davanti ai suoi coetanei per paura del giudizio altrui. Un’altra ipotesi è il fatto che l’uomo voglia imporre la sua superiorità, non riuscendo di conseguenza ad accettare condizioni diverse dalle sue volontà e aspettative. Ciò può derivare da un sentimento interno, che si riconosce nella paura di essere sottomessi. La maggior parte dei femminicidi testimoniano queste due tesi: Martina Carbonaro è stata ammazzata per aver rifiutato un abbraccio dall’ex fidanzato, Giulia Cecchettin fu uccisa dal suo ex ragazzo perché non voleva tornare con lui, Sara Campanella morì accoltellata in strada da un suo compagno di università che era ossessionato da lei e che non riusciva ad accettare che la giovane aveva una relazione con un altro ragazzo... Potrei elencarne molti altri, ma la lista è drammaticamente sconfinata. Un articolo scritto da Sara Bortolozzo per NewsBiella cita: “possiamo imparare a utilizzare le parole in modo intenzionale e consapevole, trasformando la nostra vita”. È proprio vero, un semplice “no”, se detto in maniera decisa, può evitare situazioni drammatiche.

Viviamo in una cultura in cui siamo abituati a confondere amore con possesso?

A mio parere sì. Ciò è dovuto anche all’uso scorretto dei social, in cui gelosia e possesso, a volte, non sono visti come fattori negativi, ma sono considerati “dimostrazioni di amore”: amore non è questo, amore non è impedire ad una ragazza di vestirsi in un determinato modo, amore non è violenza, coercizione psicologica o fisica. Inoltre, sempre più spesso mi capita di imbattermi in video di ragazze in cui dicono di essere grate nei confronti del loro fidanzato perché non è violento o perché non utilizza un linguaggio spregevole: a mio parere questo è un modo per “normalizzare” fattori negativi, pensando che siano la normalità in una relazione!

Sono dell’idea che la violenza sulle donne venga troppo spesso sottovalutata. Bisogna ricordare che le vittime un giorno potrebbero essere delle nostre amiche, o addirittura noi. Ciò che manca nella nostra società è l’informazione: è necessario che soprattutto i ragazzi vengano sensibilizzati su questi argomenti, insegnando loro ad accettare situazioni talvolta dolorose, che è impensabile che vengano risolte con la violenza, nei peggiori dei casi uccidendo una donna. Si potrebbero introdurre nelle scuole ore in cui esperti parlano ai giovani di questi argomenti delicati che in quanto tali rischiano di essere tralasciati dai genitori per paura di non saperli affrontare. Infine, l’atto estremo dell’uccisione si traduce anche in un comportamento egoista, che sottrae la donna desiderata a sé stessi, purché non vada fra le braccia di altri.

Greta Garzi, 4D, liceo linguistico G. & Q. Sella

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