Per ogni abitante da zero a 14 anni nel Biellese ci sono 2,98 ultra 65enni. È questo il dato impressionante che ci viene restituito dalle impietose statistiche sul nostro personale e rigidissimo “inverno demografico”.
Mentre sono auspicabili politiche non ideologiche per la natalità che passino attraverso misure che permettano alle donne di non scegliere tra maternità e lavoro, assicurando anche agli uomini il congedo parentale paritario e obbligatorio, vale la pena senz’altro avere una visione programmatica sugli interventi necessari per sostenere la popolazione anziana. Non occorre nemmeno dire che la sua cura domiciliare ricade quasi completamente sulle donne.
Gli indici ci raccontano che attualmente nel Biellese, su 160.000 abitanti, ogni 100 adulti in età lavorativa (15-64 anni) ve ne sono circa 50 ormai “inattivi”; di questi, circa il 10% necessitano di supporto socio-economico, assistenziale, sanitario e riabilitativo. La situazione, lasciata a se stessa o garantendo sporadici bonus, può solo peggiorare.
È necessario quindi agire con logiche di sistema che accompagnino il processo di invecchiamento, sostenendo le attività di prevenzione per ritardare quanto più possibile il momento della presa in carico da parte delle Residenze sanitarie assistenziali. Sarebbe stato questo lo spirito della Legge Delega sugli anziani (n.33/2023). Lo scorso marzo questo governo ha approvato il relativo Decreto legislativo attuativo, che però non è all’altezza delle aspettative. Nei decreti attuativi non si riscontra la componente di compartecipazione sanitaria alle cure a tutti i differenti livelli assistenziali, dal domicilio alla residenzialità. In capo alle Regioni ci sono altrettanti sistemi socio-sanitari: il diritto ad avere una giusta assistenza se sei anziano e non autosufficiente lo potrai veder soddisfatto in modo diverso, a seconda che ti capiti di vivere in una regione piuttosto che in un’altra. La sanità piemontese è crollata dal primo al settimo posto a livello nazionale. Possiamo stare tranquilli? Forse no.
Nel Biellese, la prevenzione dovrebbe trovare coordinamento e sostegno nell’Asl: il Centro MenteLocale, i Centri diurni Integrati gestiti dal Terzo settore e quelli specializzati, i medici di medicina generale e tutto il volontariato connesso attuano interventi che, pur meritori, non sollevano a sufficienza le famiglie nelle pratiche di accudimento e nel permanere della domiciliarità.
Le Rsa, inserite virtuosamente in questo sistema, sarebbero ormai pronte a diventare veri e propri centri-servizio e diversificare il loro raggio d’azione: con la disponibilità di tutte le professionalità necessarie, dal medico alla addetta per le pulizie di casa, potrebbero accompagnare i caregivers (e i servizi sociali di emanazione degli enti locali) garantendo servizi domiciliari semi-residenziali ambulatoriali. Ma come possono farlo, quando combattono per sostenere costi crescenti e si vedono riconosciuta una percentuale infima di quote convenzionate regionali rispetto ai bisogni e quando il loro ruolo non è incentivato dal decreto attuativo citato? La risposta non può essere che negativa.
Parliamo ora dei non autosufficienti, e della necessità di cura e assistenza in struttura. La Regione Piemonte, con più di un milione di anziani, garantisce 14.000 quote; in Veneto, con un minor numero di potenziali utenti, le quote sono 21.000. Il Biellese nel 2010-2011 aveva tra le più alte percentuali di quote finanziate in Piemonte (780). Oggi ci troviamo al penultimo posto, nonostante siamo la provincia piemontese più “vecchia”.
Parliamo quindi delle situazioni più complesse di non autosufficienza a prevalente componente sanitaria e riabilitativa in senso esteso, fino all’accudimento per il fine vita. Parliamo di quelle persone che secondo i media locali “intasano” abusivamente i Pronto Soccorso. Parliamo di quelle persone che uniscono a disturbi fisici problematiche cognitive fino alle forme acclarate di demenza e Alzheimer. Parliamo di persone e di famiglie dove essere disponibili h. 24 per interventi igienico-sanitari domiciliari risulta impossibile, da qui la necessità di comunità attrezzate che sappiano rispondere con elasticità alle domande che sono sempre più numerose e articolate.
Le 35 Rsa del nostro territorio hanno bisogno di attenzione e sostegno, e di una nuova regolamentazione che superi quella, ormai datata, del 2012-2013. Hanno bisogno di personale e di risorse economiche. Le famiglie devono trovare supporto in una rete di prevenzione che ritardi il più possibile l’ingresso in struttura e di sostegno nelle quote regionali. Non ci possiamo permettere una Regione che continua a voltarsi dall’altra parte.
Emanuela Verzella
Candidata al Consiglio Regionale per il Partito Democratico