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ATTUALITÀ | 20 luglio 2021, 06:50

Termovalorizzatore a Cavaglià? L'intervista a Daniele Gamba di Legambiente Biella

gamba cavaglià

Daniele Gamba di Legambiente Biella

Si parla di termovalorizzatore o inceneritore nella Regione Gerbido di Cavaglià: per questo abbiamo chiesto lumi a Legambiente Biella attraverso Daniele Gamba su quale sia la posizione dell’Associazione in merito alla possibile costruzione di questo impianto che arriva proprio alcune settimane dopo la possibile discarica di amianto del Brianco.

“Occorre prima fare una premessa: il Biellese paga lo scotto dell’avventura in  ASRAB, la società mista Pubblico Privato a maggioranza Privato, che ha determinato una concreta sudditanza del territorio ai progetti industriali del gruppo A2A Ambiente, socio di maggioranza in ASRAB.  Già la ipotizzata durata delle discariche consortili fu drasticamente ridotta, a vantaggio ovviamente del risultato di impresa: le iniziali previsioni che stimavano una vita utile delle discariche in almeno 15 anni (e dunque una grande autonomia per il territorio) si è dimostrata aleatoria: si sono esaurite le capienze di discarica in pochissimi anni accogliendo RSU da fuori territorio e conducendo per anni una raccolta di RSU scarsamente differenziata (un’elevata differenziazione avrebbe reso meno necessario il trattamento di bioessicazione a Cavaglià, il fulcro e il core business dell’avventura ASRAB, prestazione peraltro fornita con enormi garanzie sul risultato di impresa). Fare bene la differenziata avrebbe infatti ridotto i vantaggi ad ASRAB e A2A Ambiente. Il Contenzioso COSRAB-ASRAB si è poi concluso con una transazione ove, tra accordi scritti e non scritti, si sono determinati ulteriori vincoli al disegno industriale dettato da A2A Ambiente. Gli impianti a Cavaglià per la selezione Plastica, la produzione di CSS e l’impianto FORSU sono stati avanzati con la tecnica “a spezzatino”, ognuno a sé stante, senza illustrare quanto era invece evidente agli addetti ai lavori, un piano industriale preciso che avrebbe richiesto un preliminare ampia discussione e una regia pianificazione pubblica. Viceversa è “il mercato” a decidere dove, come , quando trattare i rifiuti. Alla proposta “bicefala” della nuova doppia discarica “in appoggio” tra loro di RSU e Rifiuti Speciali – francamente illogica e irricevibile perché vincolava, di fatto, la realizzazione di una all’altra – ora segue, sempre con la stessa logica (sotterranea pervasione) la proposta del termovalorizzatore, fatto che non esclude ulteriori sviluppi nemmeno delle attività di discarica. In termini generali occorre fare presente che la recente Deliberazione della Giunta Regionale 12 marzo 2021, n. 14-2969 dispone che per gli impianti di termovalorizzazione occorre che prima sia svolta una V.A.S (valutazione ambientale strategica) a livello regionale per l’individuazione delle necessità e localizzazione di eventuali impianti. La proposta di A2A Ambiente, avanzata prima che siano state svolte la V.A.S. e la conseguente nuova pianificazione regionale, ha lo scopo di “mettere i buoi davanti al carro”, precorre i tempi con l’obiettivo di dare per scontato ed imporre la “propria soluzione”. Si può dire che sta avvenendo esattamente quanto è successo per la discarica di Amianto al Brianco. La Regione aveva affidato ad ARPA l’individuazione dei siti idonei per la collocazione in sicurezza di manufatti di cemento amianto ma, contrariamente alle indicazioni localizzative formulate da ARPA e senza avvalersi del principio di precauzione privilegiando i siti e le località individuate, verrà autorizzato un impianto che il Proponente ha scelto di fare altrove rispetto alla analisi condotta a livello regionale. Con la conferma che le  scelte fondiarie condotte da Eco Deco trent’anni fa avevano due soli oculati obiettivi:  quello speculativo e lo sfruttamento territoriale (una discarica compromette un terreno per sempre).  La responsabilità dei politici biellesi è pertanto elevata. Nessuna pianificazione territoriale e sostanziale carta bianca a qualsiasi proposta delle imprese, siamo al libero mercato regolatore (il PD non sa fare null’altro). Nelle province di VC qualche differenza si è vista (il NO alla diga sul Mastallone, alla discarica di Rifiuti speciali ad Alice Castello, all’impianto FORSU della Polioli). Stesso approccio per gli impianti FROSU in provincia di NO e di AL.  La Provincia di Biella, falsamente garantista e politicamente assente non ha nemmeno completato quanto era già previsto in pianificazione (nel Piano Territoriale era prevista la redazione di un P.R.U.I.S. per la Valledora, al fine di riqualificare l’area dopo lo sfruttamento con le attività di cavazione. Non fu fatto nulla per consentire alle imprese di continuare con le proprie proposte di sfruttamento".

A proposito del progetto che tipo di opposizione farete, se è possibile, e quali sono le obiezioni dal punto di vista di tutela della salute.

"Come sopra accennato vi è un preliminare e principale problema di pianificazione e di processi democratici. Il “nuovo” fabbisogno regionale in termovalorizzazione (attualmente sono termo ridotti circa 700.000 t/anno di rifiuti in regione ma con una produzione di 120.000 t/annue di ceneri) è stimato in 850.000 t/anno nel 2035 (+ 150.000 t/anno). Valore molto suscettibile di variazione al ribasso se prevarranno le politiche, successivamente disciplinate, dal nuovo quadro normativo europeo, la Next generation Eu, ovvero minori materiali usa getta, recupero di materia anziché di energia, ecc. L’impianto proposto è per un quantitativo superiore, pari a 250.000 t/annue. L’indifferenziato biellese è di circa 60.000 t/annue, quindi si determina nuovamente, oltre a Vetro, FORSU, Plastica, Amianto e Alluminio una concentrazione sovra impiantistica rispetto alle necessità territoriali. Un quadro che definisce lo stato di mero sfruttamento territoriale del basso biellese, non certo la sua promozione, nemmeno quella socio economica. La sua ubicazione: l’eventuale nuovo termovalorizzatore e gli impianti già realizzati a corredo (CSS, FORSU, Plastiche) sono stati condotti con ulteriore consumo di suolo ( in contrasto a tutte le indicazioni per contenerlo, sfruttando aree industriali dismesse). Il recupero energetico è al momento uno dei punti più indefiniti e vaghi del progetto illustrato a mezzo stampa e probabilmente uno dei punti più critici (i termovalorizzatori sono normalmente prossimi alle grandi realtà industriali o insediative proprio per consentire il recupero calorico, condizione che a Cavaglià non si  presenta). Quanto sarà possibile il ricorso a CSS e a che tipo di CSS (se rifiuto o combustibile)  è tutto da capire. Tale differenza può inoltre alterare le capacità effettive di smaltimento dichiarate  dell’impianto (oltre alle 250.000  di rifiuti in ingresso si sommerebbe un quantitativo da CSS combustibile, che è comunque un sottoprodotto da rifiuto). L’impianto di Cavaglià ha una capacità complessiva autorizzata di 60.000 t/annue. Purtroppo il ciclo industriale connesso al recupero energetico implica una lavorazione prevalente dei rifiuti raccolti volti all’incremento del PCI (potere combustibile inferiore) e non al recupero di materia (vero obiettivo della economica circolare).  Vale soprattutto pe i materiali ligneo cellulosi ma anche per le plastiche: è molto meno dispendioso convertire   a PLASMIX e poi a CSS alcune tipologie di plastiche anziché selezionarle e lavorarle ulteriormente per un recupero di materia (il 35% della plastica differenziata va in fumo…). Gli impatti sono vari: i più immediati saranno dati dal consumo di suolo e dall’aumento considerevole del traffico pesante (somma del convogliamento sia di combustibile solido o di rifiuti). Il problema dei fumi da termocombustione, ancorché l’impiantistica possa vantare dei miglioramenti nel trattamento di questi fumi rispetto agli anni passati, rimangono comunque uno dei nodi principali che non può essere risolto semplicisticamente facendo leva sulla bassa densità abitativa nell’area.  Oltre alle problematiche inalatorie vanno attentamente considerati i valori di accumulo progressivo (su terreno, prodotti agricoli, acqua, ecc.). L’esperienza SASIL ci illustra che la difesa della salute e dell’ambiente è assai ardua (paradossalmente l’azienda fu assolta penalmente per inquinamento da diossine pur permanendo il divieto al consumo di ortaggi disposto dalla ASL per le arre limitrofe allo stabilimento). Ed anche alla “modernità”  e alla “garantita sicurezza” assicurata quando veniva proposto il nuovissimo  termovalorizzatore in regione Gerbido a Torino, sono ora subentrate preoccupazioni date dai primi dati epidemiologici. La trasformazione di una quota (circa 1/6) dei rifiuti combusti in ceneri, un rifiuto speciale che richiede il conferimento in discariche specifiche per la maggior pericolosità del rifiuto, ci indica che la soluzione termovalorizzazione non è la panacea nella gestione dei rifiuti, che la sola strada maestra è la riduzione della produzione dei rifiuti alla fonte, oltre che al recupero di materia. Va ricordato infine il caso increscioso di Vercelli con il sotterramento delle ceneri presso lo stesso termovalorizzatore. Legambiente, come di consuetudine, parteciperà nelle fase di evidenza pubblica (VAS e VIA) con proprie osservazioni, argomentando in senso tecnico le soluzioni che verranno avanzate e ribadendo che è in corso un deliberato sfruttamento territoriale attuato con una concentrazione impiantistica ingiustificata.  Concentrare nel biellese più attività di trattamento rifiuti evidenzia peraltro la debolezza di questo territorio, messo 'a servizio' da chi, realmente persegue la logica NIMBY: 'Non nel mio giardino ma ….tutto a Cavaglià' ". 

Tornando indietro nel tempo si ricorda la forte opposizione popolare al progetto Fenice ora questa proposta, quali però le differenze?

"Nelle modalità di proposta sono identici. I privati avanzano le loro istanze indifferentemente i percorsi di pianificazione. Per i rifiuti speciali (industriali) tale evenienza aveva una sua ragione di essere ed era prevista normativamente. Non certo per quanto concerne i termo valorizzatori per  RSU. Dal punto di vista tecnologico e merceologico (tipo di rifiuto conferito) non è possibile ora fare comparazioni, non si hanno in disponibilità i progetti, le temperature di esercizio, le caratteristiche dei camini e dei filtri. Vale di massima la considerazione che gli impianti dedicati ad un solo e specifico rifiuto possono essere meglio ottimizzati. Laddove il rifiuto è eterogeneo come per gli RSU l’ottimizzazione è ben ardua, può essere risolta solo alzando la temperatura di combustione con un notevole incremento dei costi di esercizio ovvero implementando le linee e i filtri di trattamento dei fumi. L’equilibrio tra gli oneri economici da sostenere e le garanzie per la sicurezza e la salute, a cui si aggiunge il margine di profitto di impresa e che porta a determinare la tariffa finale all’utenza,  è purtroppo e sovente raggiunto riducendo le garanzie per la sicurezza e la salute. I sistemi di monitoraggio e le analisi epidemiologiche, sovente affidate a soggetti che non sono realmente terzi, hanno tempi di ritorno troppo tardivi per contenere, con misure correttive adeguate, l’insorgenza di effetti patologici".

Però parlando di termovalorizzatori rappresentano il male assoluto e sono dannosi alla salute oppure la tecnologia è migliorata in tal senso?

"La termovalorizzazione anni ’70 non può, tecnologicamente, essere paragonata a quella del 2020. Allo stesso tempo va fatto presente che è cresciuta la consapevolezza degli effetti sulla salute di molti agenti impattanti: ad esempio per le polveri sottili (PM2,5) negli anni ’70 non erano minimamente considerate e solo ora vengono valutate causa di maggiori danni rispetto alle PM10. Ovvero l’affinamento nel processo di trattamento fumi entro una certa misura produce benefici ma, oltre a non eliminarli del tutto, può ingenerare la prevalenza di alcune sostanze più pericolose rispetto ad altre.  Va invece osservato, anche laddove vi siano state migliorie tecnologiche del processo di termo combustione, permangono criticità nella filosofia del processo e localizzative: la termovalorizzazione deve risultare una scelta da condurre in subordine al recupero di materia che rimane la priorità in assoluto e su cui si dovrebbe investire e normare molto di più (Riduzione e Recupero); nella termovalorizzazione deve essere valutato attentamente il bilancio energetico (e a Cavaglià il recupero di energia è ancora tutto molto vago e discutibile, lasciati alla fantasia, dall’idrogeno alle serre per colture idroponiche); la localizzazione: il Proponente ha scelto Cavaglià perché ritenuta strategica rispetto al bacino dei conferimenti e la presenza di importanti snodi stradali. Non ha certo scelto Cavaglià in quanto area ove, meno di altre, si determineranno gli impatti ambientali dei fumi del termovalorizzatore (non è un’area fortemente ventilata). La scelta di realizzare nuovi impianti emissivi in area padana è nel caso di specie aggravata dalla particolarità sito specifica, ove persistono le più elevate emissioni di metano da attività agricole (in particolare le risaie BI-VC-NO e allevamenti), non è certo tra le migliori".

Redazione

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