Biellese Magico e Misterioso - 18 aprile 2021, 14:30

Il Biellese magico e misterioso: Le fate coi piedi d’oca della Janka biellese e le “Janas” della Sardegna

A cura di Roberto Gremmo

Il Biellese magico e misterioso: Le fate coi piedi d’oca della Janka biellese e le “Janas” della Sardegna

Il “Dèir Salrzèr” col volto d’un guerriero scolpito dalla natura nella roccia ed il “Ròch dij Afé” entrambi sopra Netro non sono gli unici simbolici richiami ad una presenza umana arcana e misteriosa perché a poca distanza scorre un corso d’acqua impetuoso e dirupato che prende il nome di Janka ed a differenza di quasi tutti i fiumi della regione non é di genere maschile ma femminile.

   Sicuro indizio della sua dignità spirituale e di antica meta di pratiche magiche e devozionali é la cristianizzazione d’un enorme masso erratico che s’incontra proprio dove il Trecciolino scavalca la Janka. La dura pietra del masso, dietro cui sgorga anche una sorgente, é stata pazientemente scavata per ricavare un’edicola votiva con all’interno la statuetta d’un santo cristiano ormai senza volto, molto simile ad un idoletto pagano.      

   Il rio Janka o “delle Janke” dal nome intraducibile ha con tutta evidenza origini pre-latine ed il suo significato originale é andato perduto ma può legittimamente essere considerato il fiume sacro del popolo perduto delle montagne biellesi, quello delle fate dai piedi d’oca.

   E’ interessante notare che il termine “Janka” é affine a quello di “Janas”, misteriose presenze femminili che nella tradizione popolare della Sardegna più arcaica “tessono nell’arcolaio il destino della vita” e stanno a guardia d’immensi tesori.

   Nell’appartata località di Pranu Manteddu, a Goni nel Cagliaritano, esistono le “Domus de janas”, case delle fate scavate nella roccia al centro di cerchi di pietre, probabili luoghi di culti ancestrali.

   Leggendo il documentato studio di Gian Luca Medas sulla “Sardegna dei sortilegi” pubblicato da Newton & Compton si resta colpiti dalle profonde similitudini fra gli esseri fatati del Biellese misterioso e le figure più straordinarie del leggendario sardo.

    Come le donne dai piedi d’oca della val dl’Elf anche le Janas di Sardegna vivevano appartate in profonde caverne, nascondevano dei grandi tesori, erano padrone di segrete pratiche salvifiche che avevano confidato generosamente agli abitanti del luogo, allontanandosi dopo aver subito un ingiusto oltraggio nel corso d’una festa da ballo.

  L’unica, ma sostanziale differenza deriva dal fatto che i “Pé d’òca” della val dl’Elf sarebbero stati cacciati dalla gente del posto, mentre le Janas si sarebbero fuse armonicamente con le popolazioni locali finché dei prepotenti giunti sul’isola dal mare le avrebbero oltraggiate, costringendole ad allontanarsi. 

    Tuttavia, le notevoli somiglianze fra le due tradizioni non vanno considerate casuali o fortuite ma sono invece il segno evidente di quel che resta in forma epica della comune matrice culturale delle antiche popolazioni megalitiche che per prime civilizzarono l’Europa occidentale. Dai Baschi ai Sardi, dai Pirenei catalani alle Alpi attorno al Monte Bianco ed al Monte Rosa fino alle Marittime.  

   La tradizione popolare delle “Jan[k]e” dai piedi deformi é diffusa nel Cuneese dove la figura della regina con gli arti inferiori mostruosi ed animaleschi s’é trasferita in quella della “Rejna Jana”. E’ una figura storica realmente esistita, Giovanna I° d’Angiò che nel Trecento fu sovrana di Napoli ma, costretta a fuggire in Provenza dopo l’invasione del suo regno da parte del cognato Luigi d’Ungheria, lasciò cattiva fama di sé passando nel Cuneese. Nacque così la leggenda della malefica regina provenzale, la castellana del “Bech d’Arnòstia” sopra Boves che per tiranneggiare i poveri montanari del luogo avrebbe preteso delle calzature adatte al suo piede ma non ne trovò nessuna di suo gradimento finché gli sconcertati bovesani scoprirono che l’irascibile e rabbiosa “Rejna Jana” nascondeva un inconfessabile segreto perché aveva i piedi di gallina. Solo allora i bovesani la costrinsero ad andarsene.

    Lo stesso personaggio assume una caratteristica del tutto opposta nella tradizione popolare di Albaretto della Torre, un altro borgo della montagna cuneese, dove la “Regina Gioana” viene ricordata come benefica e buona governante al punto che le venne dedicata una preghiera così come una canzone popolare esalta “la Rejna de nostro montano” ed implora la “Vierge Maria, per plans e montagno garda[r] nòstra Rejna Joano”.

   La sovrapposizione fra l’antica credenza nelle donne coi piedi deformi e la sovrana tiranna é  rafforzata dalla diceria negativa che circonda Giovanna d’Angiò nel folklore napoletano dove viene ricordata come “donna perfida, crudele, istigatrice di guerre e di pubbliche calamità” oltre che lussuriosa e dall’attività sessuale sfrenata; caratteristiche deplorate anche nelle streghe biellesi, comparse in pieno Seicento a Bagneri, borgata montana fra il “Ròch dij Fé” e il rio Janka.

  Coloro che propendono per l'identificazione della “Reina” dai piedi di gallina (o d'oca ? poco importa) col personaggio storico di Giovanna, ricordano come il Castello della Renostia sia effettivamente esistito e sia stato la dimora della regnante provenzale.

  Ma nella “Storia popolare di Boves” Lorenzo Peirone scrisse che “il nome di Renostia verrebbe da Reyna-ostia; porta, casa della Regina” ed aggiunge: "Sulla Renostia ai confini di Boves c'è tuttora una grotta, una enorme buca - il Garb dla Rana Giana - grotta che sarebbe appunto stata abitata dalla Regina Giovanna. vicino alla grotta doveva esserci il castello”. 

   Una sovrana con una reggia pietrosa; come “J’Afé”  dai piedi d’oca sotto al “Dèir” dove un essere fatato mostra miracolosamente il suo volto al sole della val dl’Elf più remota e nascosta.   

    Nella tradizione popolare di Alessandria compare anche una deforme e crudele regina straniera chiamata “Pédoca”, arrogante quanto stupida al punto d’essere ricordata nei detti popolari con l’espressione ‘Gnurant c’mé Pedòca’. Calata dal nord alla testa d’un grande esercito, la spietata sovrana sarebbe stata sconfitta dalla scaltrezza della gente del posto e costretta a fuggire.

   All’attributo negativo e repellente dei “Pé d’òca” si unisce nella leggenda un vago ricordo di qualche scontro etnico antichissimo e l'idea della assoluta inferiorità, anche mentale, dell’etnìa nemica soccombente.

     Nel folklore religioso alessandrino la figura della donna deforme si é evoluta nel racconto fiabesco di san Baudolino che avrebbe liberato miracolosamente Villa del Foro da una invasione di oche starnazzanti credute “spiriti maligni, venuti dall'inferno a tormentare la povera gente che lavora”.

  Le oche predatrici in cui si sarebbero materializzati i diavoli avrebbero terrorizzato i popolani nella località dove aveva trovato rifugio dando il meglio di sé santa Varena, giuntavi con un volo magico dalla Svizzera a cavallo d’una roccia, la “Pèra d’ Santa Varèjna” cementata sulla facciata della chiesa del paese ed ancor oggi oggetto di venerazione perché la si ritiene guaritrice del mal di schiena.

    Sui Pirenei, gruppi di individui ritenuti pericolosi per la comunità cristiana vennero per secoli bollati spregiativamente come “Cagots” e furono costretti a vivere appartati ai margini dei villaggi portando un mantello con una zampa d’oca dipinta all’altezza della spalla come segno d’infamia per l’appartenenza ad una “razza maledetta”, forse perché rimasta tenacemente pagana.

   Il mito del popolo ‘minable’, miserevole coi piedi palmati é ancor vivo nei Paesi Baschi ed il compianto patriota Federico Krutwig ci raccontò anni fa la storia di questi “Agoti” chiamati anche “Cagots”  giunti in Euskadi dal Vallese, disprezzati dalla gente del posto ed obbligati a portare un marchio ritenuto infamante.

   A metà Ottocento, Francisque Michel si occupò di loro nella sua monumentale “Histoire des races maudites de la France et de l’Espagne” ricordando che questi poveretti, ovunque banditi e cacciati come appestati, erano costretti a vivere isolati e potevano entrare nelle chiese solo da una porticina “qui leur était exclusivement réservé” segnandosi solo con l’acqua “bénite dans un bénitier à part”.

   Almeno fino al Seicento la loro vita era resa difficile dalle leggi ed era comune a quella di altre ‘races maudites’ perché “les Cagots pyréneéns, les Gahets gascons et les Caqueur de la Bretagne étaient astreints [obbligati] par la législation alors en vigueur à porté une marque distinctive, appellée pied d’oie ou de canard [piedi d’oca o d’anatra] dans les arrêts [decreti] de Navarre et de Bourdeaux” in segno di disprezzo.

    Malgrado fossero costretti ad andare a piedi nudi, non risulta che i “Cagots” avessero deformazioni agli arti inferiori anche se il loro corpo presentava un’evidente anomalia perché non avevano i lobi alle orecchie.

   Una canzone medioevale nella parlata occitanica di Pau sbeffeggiava questi sfortunati anche per la loro “aüreille retroussade”, l’orecchio accartocciato.

   Ritenendoli gli ultimi discendenti dei Catari, il celebre esploratore tedesco Otto Rahn nella sua “Crociata contro il Graal” ricordò questi “cagots, questa tribù di bohémiens disprezzati che vivevano nei Pirenei e che la Navarra francese riconobbe solo nel 1709 e la Navarra spagnola nel 1818, come cittadini uguali agli altri”.

  Benché sia difficile stabilire l’origine di queste stirpi marginali e perseguitate é tuttavia certo che i cosìdetti “Colliberts” guardati con sospetto dagli altri francesi si stabilirono nel Medio Evo nel Bas-Poitou in una zona “marécageuse et encore inhabitée”, paludosa e disabitata per sfuggire alla persecuzione di tipo etnico cui erano sottoposti dai dominatori Franchi.

   In val d’Aosta diverse leggende richiamano ad una antichissima e mitica presenza umana (o umanoide) con anomalie articolari. Una fiaba pubblicata nel 1941 nel “Messaggero Valdostano” favoleggia d’una giovane rifiutata per sposa da un popolano di Brusson dopo aver scoperto che aveva i piedi equini; un altro racconto tramanda la disavventura d’un mandriano di Lillianes ammaliato da una donna misteriosa ma costretto a respingerla dopo aver scoperto che al posto dei piedi aveva zoccoli di mulo mentre la tradizione delle donne con gli arti deformi scoperte mentre ballavano a Fènis con la gente del posto é praticamente identica a quella della val dl’Elf, solo che in val d’Aosta le straniere avrebbero avuto zoccoli di mucca.

    Una narrazione popolare valdostana perpetua la memoria terrorizzata dei timorati montanari di Roisan dopo aver scoperto che uno straniero giunto inaspettato fra loro aveva i piedi caprini e, scoperto, era fuggito a rotta di collo, rivelandosi un terribile demonio.

  A Macugnaga, i folletti detti “Gottwjarchi” avrebbero avuto i piedi “girati indietro”, mentre gli gnomi del Trentino sarebbero stati in grado di trasformarsi in gagliardi ed amabili giovanotti dal fisico perfetto tranne che nelle mani a forma di zampe di gallo. Secondo la  leggenda, per non essere scoperti le avrebbero sempre nascoste sotto i guanti.

   Per la gente semplice e timorata, tutti i marginali hanno sempre qualcosa di diabolico.

    Come le fate e le streghe della val d’Elf.

   Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo scrivendo a storiaribelle@gmail.

   Per approfondire questi argomenti segnaliamo due libri pubblicati da Storia Ribelle casella postale 292 - 13900 Biella.

 

Roberto Gremmo

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