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Biellese Magico e Misterioso | 02 agosto 2020, 08:00

Il Biellese magico e misterioso: Il grande santuario di pietra degli antichi Salassi sovrasta la valle dl’Elf

A cura di Roberto Gremmo

Il Biellese magico e misterioso: Il grande santuario di pietra degli antichi Salassi sovrasta la valle dl’Elf

Il “Dèir Salrzèr” é un promontorio litico che  s’eleva ad oltre milleduecentocinquanta metri d’altezza sopra Netro e nasconde una visione segreta.   Vi si sale dove il Tracciolino incontra la borgata di Mollie, toponimo che non si riferisce alle spose ma é l’irrispettosa italianizzazione della regione delle “mòje”, un pianoro acquitrinoso causato dall’infiltrazione delle acque torrentizie del rio Gre. La strada prosegue ripida ma asfaltata fino all’altezza del viottolo per gli alpeggi di Costa Grande da dove, alzando lo sguardo, giganteggia il complesso litico del “Ròch”, alto una cinquantina di metri, largo un po’ di più e solcato da diversi canaloni nella pietra e da rientranze alla base.   

La strada prosegue sterrata verso il “Piano della Morte” e ad un tornante incontra sulla sinistra il sentierino che sale verso il “Dèir”. Solo dopo aver percorso pochi metri si scopre il segreto del complesso litico perché fra le nuvole basse o al tramonto si vede chiaramente la roccia assumere il profilo d’un volto umano. Sembra quello d’un giovane o d’una ragazza, fiero, volitivo ed energico rivolto verso la vallata.   L’affascinante visione dura poco, perché é sufficiente spostarsi lateralmente o proseguire nel cammino perché la roccia torni ad essere un massiccio pietroso imponente ma informe e la rapida apparizione scompaia completamente.

Ammirando questo capolavoro m’é venuto da pensare che la natura ha voluto donare ai fortunati biellesi un simulacro litico per ammirare una mitica figura progenitrice. Nella nostra lingua locale “Dèir” indica una roccia isolata mentre é di difficile decifrazione il termine “Salrzèr” che il linguista e patriota basco Federco Krutwig spiega come richiamandosi a “Sal” nel significato di luogo ben protetto, una roccia fortificata, difesa dalla figura pietrosa, il custode che vi é imprigionato e che rivela il suo volto solo a chi l’osserva da una visuale particolare.       

Popolo prediletto dalle divinità pagane, quello della val dl’Elf non ha dovuto irreparabilmente sfregiare la roccia come hanno fatto gli Stati Uniti d’America che, per onorare la memoria dei loro più importanti presidenti, a partire dal 1927 hanno iniziato a scolpirne i volti sui fianchi del monte Rushmore, senza alcun rispetto per quelle colline ritenute sacre dai Sioux che se le erano viste sottrarre dalla violenza imperialista dell’‘uomo bianco’ conquistatore. L’affascinante ed enigmatico “Dèir” biellese ha avuto purtroppo un singolare e beffardo destino perché, per ragioni difficilmente comprensibili, ha perduto la propria identità ed in tutti i cartelli lungo la strada per raggiungerlo viene definito  masso delle “Tane dij Afé”, nascondigli delle fate.    

E’ uno sbaglio colossale; come se a Torino si indicasse la Torre littoria al posto della Mole Antonelliana. Un rustico scrittoio installato sul pianoro sopra il massiccio permette al visitatore di registrare il proprio arrivo al “Ròch dle fate” senza sapere d’essere invece tutto da un’altra parte, come prova chiaramente l’assenza totale nel “Dèir” di caverne, rifugi o nascondigli che dovrebbero giustificare il nome che si riferisce ad antri fatati.

Nel 1812 il parroco di Netro Giovanni Enriotti manoscrisse una storia del paese e non mancò di notare l’esistenza di quel massiccio litico su cui “i Salassi si recavano a fare i sacrifici. Si racconta che proprio nei pressi di questa località e più precisamente negli anfratti del Roc di Fé vivesse un tempo una tribù che aveva le piante dei piedi simili a quelli delle oche”. Come richiama lo stesso nome con cui é indicato ancor oggi dagli alpigiani, non vi sono dubbi che si riferisse proprio al ‘Dèir Salrzer’, il masso dei Salassi. I progenitori dell’antica civiltà alpina scelsero di praticare i loro riti (solari ?) proprio su quella pietra perché rivela solo da una particolare visuale un profilo umano e si può immaginare quale meraviglia doveva provare il selvaggio che assisteva alla prodigiosa apparizione di un Dio di pietra.

Roberto Gremmo

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