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Biellese Magico e Misterioso | 12 aprile 2020, 08:00

Biellese magico e misterioso: L’enigmatico “Cristo della domenica” seminascosto nel Duomo di Biella

A cura di Roberto Gremmo

Biellese magico e misterioso: L’enigmatico “Cristo della domenica” seminascosto nel Duomo di Biella

Nel Biellese d’una volta non c’era solo la tradizionale arte della lana, direttamente prodotta dalla mai cancellata civiltà agro-pastorale ma esistevano mestieri d’eccellenza, vere e proprie corporazioni paesane di lavoro specializzato.

    Ronco era famoso per le sue “ciapèle”, le rustiche stoviglie e terraglie che ancora nel 1923 Alessandro Roccavilla esaltava sulla “Rivista Biellese” come vera e propria arte “puerile, ingenua, ripetente i motivi che si trovano presso tutti i popoli più antichi: arte che disdegna ogni progresso, alla buona”.

    Ma la caparbia operosità popolare non si fermava a questo.

   Il dipinto noto come “Cristo della domenica” é un suggestivo quadro d’una cappella del Duomo di Biella che raffigura il Salvatore trafitto da numerosi oggetti che gli provocano diverse ferite dolorose e sanguinanti.

  Eseguito con molta probabilità a metà del Quattrocento da un artista del posto rimasto sfortunatamente ignoto, vuole rappresentare con un’immagine ad effetto, l’immenso dolore provato da Cristo ogni qual volta un credente non ottempera all’obbligo di santificare la festività astenendosi dal lavoro o, peggio, abbandonandosi a bagordi e gozzoviglie invece di dedicarsi alla preghiera ed alla meditazione.

    Purtroppo é un dipinto dimenticato mentre meriterebbe grande attenzione anche come reperto straordinario che documenta l’uso degli strumenti di lavoro nella società biellese medioevale.

   Lo studioso Giorgio Dondi ha il grande merito d’aver individuato i nomi di tutti questi oggetti in un accurato e meticoloso saggio pubblicato nel 2015 dalla rivista “L’Araldo del Piemonte e Valle d’Aosta” diretto da Roberto Chiaramonte e dunque possiamo elencarli dettagliatamente.

    Guardando sulla parte a sinistra dell’osservatore, dall’alto verso il basso, sono raffigurati una trivella (in piemontese “tënivela“), un rastrello (“rastel”), una sega, probabilmente una leva di ferro, un mestolo di ferro, un tridente di ferro, una mannaia da contadino (“marass”), un attrezzo non riconosciuto, un pestone per follare tessuti, una piccola accetta (“piolèt” o “assul”), una navetta da telaio, una rete da pesca, un regolo da carpentiere (“truschin”), un attrezzo non riconosciuto ed un coltello da sellaio.

   In basso si riconoscono uno staio (“sté”) accanto al banco di un mercante che ha in mano un oggetto (forse una borsa di danaro) e regge una bilancia. E’ in piedi alle spalle di un banco di stoffe sotto una canna per misurare posto dietro alcune  balle probabilmente di stoffa ed un cavallo da soma carico.

   Dal lato opposto del Cristo, dall’alto verso il basso si vedono un bolzone da balestra, un oggetto non identificato, un tridente di legno, un trebbio, una spoletta di legno col filo, un attrezzo non riconosciuto, un ago infilato, una mannaia da carpentiere (“manera”), una roncola (“poarin”),  delle forbici (“tësòire”), un rullo per inchiostrare una martellina (“martlin-a”), una cazzuola da muratore, dei chiodi in un bussolotto di legno, un martello da carpentiere, una zappa ed una falce da fieno.

  In basso una figura femminile sembra suonare con un tamburello accompagnata da un uomo che probabilmente suona una zampogna (la “piva”).

    Fra i piedi della figura un piccolo oggetto, probabilmente di ferro, non riconosciuto, delle carte da gioco sopra dei blocchi per stamparle.

   Su una gamba é piantata una “caviglia” ferrata, sull’altra una roncoletta a serramanico (“trincia”). Una mano é trafitta da una lesina (“lesna”) o punteruolo; un falcetto entra sotto la spalla mentre Cristo tiene fra le mani una forbice da cimatore ed un fuso per filare con un gomitolo di filo.    

   La presenza di questo ammonimento visivo, efficace e pesuasivo, porta a pensare che in uno specifico contesto etnico di cui il Biellese era parte, i tempi ed i modi del lavoro dell’uomo non coincidessero con quelli stabiliti dalla Chiesa ma dipendessero da logiche e scadenze antiche e radicate. 

  Il critico d’arte Marco Ferrero ha opportunamente notato che le raffigurazioni pittoriche del Salvatore trafitto dall’inosservanza dei precetti festivi “sono oggi poco più di una sessantina, ubicate prevalentemente nelle aree a ridosso dell’arco alpino centro-orientale: Austria, Germania, Italia settentrionale e Svizzera oltre a Repubblica Ceca e Istria, quasi si fosse trattato in maniera specifica di un ambito culturale concentrato tra le popolazioni abituate a convivere con climi difficili e minori possibilità di diluire il proprio lavoro nell’arco di un periodo di maggior respiro.

   Al di fuori di sifatto contesto geografico, l’immagine del Cristo sofferente e trafitto dagli oggetti della quotidianità ha trovato ampio spazio in Inghilterra, particolarmente nell’area meridionale incluso il Galles”.   

   In Trentino sono molto noti il “Cristo della domenica” nella chiesa di Campitello di Fassa e soprattutto quello dell’affresco del XVI secolo nel portale della chiesa di Tesero in Val di Fiemme dove oltre agli attrezzi di lavoro e figure di persone intente a varie attività sono stati dipinti anche due dadi e dei musicanti, per ammonire dal demone del gioco ed il pericolo di eccedere nei divertimenti profani. Un’esplicita iscrizione ammonisce che “In fra tutti li altri mali selerati la dominicha sancta voi non sanctifichati anci ogni zorno voi lavorati e ogni mal la mia dominicha voi fati”. A differenza del dipinto biellese, crudelmente raccapricciante, gli oggetti da lavoro non colpiscono la figura del Cristo, raffigurato dolente ed abbattuto mentre a braccia aperte mostra le ferite della crocifissione.  

   Sui colli trevigiani a San Pietro di Feletto, sulla facciata della chiesa parrocchiale si trova l’affresco col Cristo colpito dagli strumenti di lavoro della gente delle colline locali.

  Nel Vicentino, a San Vito di Leguzzano l’affresco é collocato nella chiesa dell’ospedale “dei Battuti” e presenta una certa originalità perché Cristo viene raffigurato in grembo alla Madonna che viene anch’ella offesa dagli strumenti del lavoro. Nella stessa chiesa viene conservato un frammento di “Danza Macabra” ammonitrice del livellamento sociale imposto dalla morte terrena.

  Ad Ortisei non sono solo gli attrezzi di lavoro ad assediare simbolicamente Cristo ma dei personaggi intenti a trastullarsi in compagnia di alcuni diavoli.

   In Svizzera, nel Cantone dei Grigioni, a  Rhäzüns/Razén nella chiesa di Son Gieri (San Giorgio) il “Cristo festivo” é stato dipinto accanto a numerose scene bibliche fra cui si distingue il “Giudizio Universale”, l’arcangelo Michele, l’apparizione di Cristo al Papa ed una serie di suggestive scene devozionali.

   L’intento pedagogico é evidente nelle didascalie di carattere esplicativo che spiegano in lingua volgare ai fedeli più istruiti il profondo significato delle opere.

   Nel ritratto della chiesa romanica di San Martino dei Gualdesi a Castelsantangelo in provincia di Macerata un Cristo colpito dagli attrezzi di lavoro mentre si appoggia ad una croce ed indica con la mano il calice della sua passione compaiono le scritte “In questo modo offremo la domenica” e “li diavvli cu li lacci han pigliati quilli che le domeniche et le feste commandate non al venerate et santificate et parerà dolcie lo peccato per menarce alle pene tanto amare”.

   Da un lato due diavoli cornuti tengono legati da grandi corde un gruppo di poveri peccatori.

   A Retrosi nel reatino laziale nella chiesa della “Cona Passatora” l’opera di Dionisio Cappelli porta la dicitura “Io so’ Xpu comme persona medera fici la domenica che se vardasse tucte larte a me offerte”.

    Nella chiesa di San Miniato a Firenze si ammonisce “Chi no guarda la domenica santa et a Cristo no a devotione Dio gli dara la eterna danazione”. 

   Come ben nota il critico d’arte Giancarlo Breccola in una preziosa disamina del dipinto della basilica di San Flaviano di Montefiascone “l’immagine proposta è sempre quella di un Cristo sofferente. Il messaggio di base è la denunzia di una colpa: gli uomini stanno compiendo una o più azioni che contrastano con l’insegnamento della Chiesa, gli uomini stanno di nuovo uccidendo Dio” e per far penetrare fra i fedeli questo concetto venivano dipinte queste immagini “con funzione di sermone didattico popolare, di predica ad alto contenuto apocalittico e terrifico: l’autorità religiosa chiedeva ai contadini e agli artigiani di tornare a santificare il settimo giorno, di lasciare per qualche ora il lavoro, di non frequentare l’osteria e neppure il letto coniugale”.  

  Eppure, spiega Ferrari, queste raffigurazioni vennero considerate “un vero e proprio oltraggio alla figura santa di Cristo” e dopo un periodo in cui si credevano davvero pedagogiche e formative vennero in gran parte distrutte “e se alcune si sono salvate lo dobbiamo probabilmente alla - in tal caso meritevole sotto il profilo della conservazione del manufatto - negligenza di alcun parroci, che non provvidero a mettere in atto le disposizioni dei loro superiori: così fu a Biella”.

   In effetti, già don Delmo Lebole documentò da tempo che il dipinto chiamato dal popolo “la domenica” corse davvero il rischio di fare una pessima fine come quello della chiesa parrocchiale di San Lorenzo ad Arbengo (Candelo) dove la “Divina Trinità” veniva raffigurata con tre figure maschili identiche.

    La difficoltà nel rappresentare iconograficamente un dogma teologico complesso ed astruso per le menti più semplici portava infatti a singolari interpretazioni grafiche come quella ancor oggi visibile nella chiesa parrocchiale di Santa Maria di Armeno dove la “Trinità” è rappresentata su una colonnina da una figura con tre teste in un solo corpo, una mano che regge un calice e l’altra che benedice.

    Anche questa originale pittura é riuscita a sfuggire direi miracolosamente a possibili tentativi di rimozione come quelli tentati nel Biellese dove nel 1571 il cardinale Guido Ferrero, vescovo di Vercelli, ordinava di distruggere insieme alla “picturam quam sancte dominice vulgus appelat”, lo scomodo ‘Cristo della domenica” anche “altre immagini, tra cui quelle della SS. Trinità, rappresentata sotto forma di tre persone completamente uguali (si vedano gli affreschi della SS. Trinità della parrocchiale di Benna e del monastero di Castelletto Cervo), perchè non confacenti allo spirito di riforma del Concilio di Trento e ai principi della fede cattolica”.

  Per nostra fortuna, l’ordine iconoclasta non venne eseguito. 

Nelle foto: il “Cristo della domenica” di Biella e quello di Tesero in val di Fiemme

Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo.

Per approfondire questi argomenti segnaliamo due libri da richiedere a storiaribelle@gmail.com oppure scrivendo a Storia Ribelle casella postale 292 - 13900 Biella.

Roberto Gremmo

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