Secondo il rapporto dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (Ismea) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nel 2019 la produzione di miele ha fatto registrare un fortissimo calo, soprattutto nelle regioni del Settentrione. Si stimano perdite del 70% rispetto a un’annata normale.
Per il solo mancato ricavo l’ipotesi è di un danno di 70 milioni di euro sul territorio nazionale e di 16 milioni di euro in Piemonte. Un bilancio tristemente negativo.Ne abbiamo parlato con Lidia Agnello e Marco Bergero, presidente e tecnico di Aspromiele: l’associazione, fondata nel 1985, alla quale aderiscono oltre il 50% degli apicoltori subalpini tra professionisti titolari di azienda e chi pratica l’attività a livello amatoriale. Insieme detengono il 70% degli alveari complessivi presenti sul territorio regionale.
“Le aziende apistiche - dicono Agnello e Bergero - già reduci, a partire dal 2011, da una serie di stagioni non positive, quest’anno stanno pagando una serie pesantissima di danni”.Cioè? “Innanzitutto, la mancata produzione di miele. Prima la persistente siccità e le temperature sopra la media stagionale, poi a partire da metà aprile le abbondanti piogge unite a un significativo calo termico protrattosi per buona parte di maggio hanno determinato una resa quasi nulla delle fioriture primaverili e la perdita pressoché totale della produzione di miele di acacia”.Ma non solo.
“Lo scarso raccolto, riuscito solo ad alcune colonie nei rari giorni di bel tempo, è stato perlopiù consumato dalle api e comunque è risultato spesso insufficiente anche solo per mantenere il loro livello di sopravvivenza. Innumerevoli sono state le colonie morte per fame nel mese di maggio e comunque straziante è diventata la situazione presente negli apiari. Il 2019 è risultato essere l’anno del paradosso: le colonie di api morivano di fame nel periodo in cui si sarebbe dovuto assistere al picco di raccolto”.A questi, si sono aggiunti altri problemi.
“Per evitare tassi di mortalità ancora più elevati gli apicoltori si sono dovuti accollare rilevanti costi economici proprio necessari all’acquisto di nutrimento a parziale compensazione della totale assenza di bottino naturale: nettare; polline; lieviti, enzimi e molte altre sostanze utili all’alimentazione della covata e al corretto sviluppo del sistema immunitario della colonia. In questo modo si è garantita la sopravvivenza delle api, però la nutrizione artificiale non può mai essere equivalente e sostitutiva della raccolta naturale che si trova nell’ambiente. Per cui gli alveari si sono trovati in condizioni peggiori di salute e di sofferenza, sia per la popolazione presente che per la qualità e la quantità della covata. E comunque le api non erano più pronte per un eventuale raccolto successivo”.
La Giunta regionale a settembre, su proposta dell’assessore all’Agricoltura, Marco Protopapa, ha approvato i criteri di un bando per concedere, agli apicoltori professionisti, dei contributi utilizzabili a coprire il costo degli interessi su prestiti aziendali compresi tra un minimo di 5.000 a un massimo di 80.000 euro.Ma per Aspromiele non è sufficiente. “Con la lettera del 9 ottobre - sottolineano Agnello e Bergero - indirizzata al presidente Cirio e all’assessore Protopapa abbiamo nuovamente sollecitato la Regione, come avevamo fatto a luglio, affinché, per far fronte alla grave crisi che sta investendo il settore, sia seriamente valutata la necessità di intervenire con finanziamenti diretti alle attività. I contributi sugli interessi dei prestiti per la conduzione aziendale, pur essendo utili ad affrontare esigenze finanziarie impellenti, costituiscono comunque una fonte di indebitamento per le imprese. Non rappresentano quindi, in questo momento così difficile, una misura sufficiente a dare una mano gli apicoltori”.
Cosa servirebbe? “Riteniamo urgente l’attivazione di misure straordinarie di intervento a sostegno dell’apicoltura regionale. Un precedente c’è già. Il Friuli Venezia Giulia ha deliberato di concedere aiuti agli apicoltori iscritti all’Anagrafe apistica nazionale e in possesso di partita Iva per il rimborso delle spese sostenute nell’alimentazione di soccorso alle api”.
Nel frattempo si è mosso anche qualcos’altro? “Il senatore Mino Taricco, insieme a molti colleghi, ha presentato un’interrogazione al ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Teresa Bellanova, sulla situazione dell’apicoltura, sollecitando la valutazione del riconoscimento dello stato di calamità naturale e la possibilità di attivare misure straordinarie di sostegno al comparto a fronte dell’annata che si può considerare la più problematica di sempre. Al momento, però, siamo in attesa di una risposta”.
Salvare le api e l’apicoltura non vuol dire solo salvare le attività economiche. “Infatti. Significa anche contribuire allo sviluppo delle eccellenze agricole, che per il 70%, dipendono dall’impollinazione delle api, e al mantenimento della biodiversità”.
L’APICOLTURA IN PIEMONTE
In Piemonte ci sono 5.769 apicoltori in regola con il censimento, dei quali 3.851 impegnati nell’attività a livello amatoriale e 1.918 professionisti titolari di un’azienda agricola. I primi detengono 33.443 alveari, i secondi 178.426. Ma di questi ultimi ben 457, con più di cento arnie a testa, possiedono il 61% di quelli totali che sono, nei due casi, 211.869.