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ECONOMIA | 17 settembre 2018, 10:21

Il 2017, annus horribilis per il sindacato: persi 450mila iscritti. Il Piemonte al top della sfiducia

Delle tre sigle principali, soltanto la Uil va in controtendenza, aumentando le tessere anche grazie alla nostra regione

Il 2017, annus horribilis per il sindacato: persi 450mila iscritti. Il Piemonte al top della sfiducia

Se non è un bollettino di guerra, poco ci manca. Sarà stata la crisi, la disaffezione alle istituzioni e agli enti intermedi o una congiuntura astrale negativa, ma dall'ultima indagine realizzata in Italia dall'istituto Demoskopika, risulta che nel corso degli ultimi due anni (ovviamente non si hanno ancora dati sul 2018) il mondo del sindacato ha perso qualcosa come 450mila iscritti.

Una vera diaspora, che vede nel Mezzogiorno la sua zona maggiormente sensibile (qui il calo è stato di quasi il 70% sul totale nazional), ma anche le persone che un tempo prestavano tempo e servizio gratuitamente sono diminuite: si parla di circa 60mila volontari in meno solo nel 2016 (-9%).

E se la Toscana e la Basilicata conservano picchi di gradimento rispetto alle attività di rappresentanza dei lavoratori, è proprio in Piemonte che si registra una disaffezione particolarmente marcata. Anzi, ai piedi delle Alpi, si tocca il livello più basso.

In quella che appare come una vasta varietà di sigle maggiori o minori, sono le tre formazioni sindacali a mostrare andamenti piuttosto disomogenei. Infatti, a fronte di una difficoltà diffusa, la UIL mostra un incremento, anche se minimo (+26mila), rispetto al passato. Mentre a leccarsi le ferite sono CGIL CISL.
Nel primo caso, in particolare, si sono persi 285mila iscritti, mentre nel secondo se ne contano 188mila in meno.

Come detto, è proprio il nostro Piemonte - insieme alla Valle d’Aosta e alla Campania - ad occupare i gradini del podio delle regioni più "sfiduciate", mente all'altra estremità si collocano Basilicata, Toscana e Sicilia. Per calcolare quanto i territori fossero in rotta con i rappresentanti dei lavoratori, è stato utilizzato un parametro che assegna alla regione di Torino un misero punteggio di 88,93, mentre i primi della classe sfiorano i 115 punti.

E quello registrato lo scorso anno è un trend ormai piuttosto consolidato, che non può sorprendere: se a dicembre gli iscritti erano circa 11,1 milioni, nel 2016 la quota era di 11,4, mentre nel 2013 era di 11,5. Un lento ma costante declino, insomma, addirittura del 7,2% risptto ai quasi 12 milioni di tesserati del 2012.

Tornando al Piemonte, il taglio rispetto all'anno precedente è stato di 13mila e 300 iscritti circa. In valore assoluto c'è chi ha perso più di noi (la Campania ne ha persi quasi 91mila, la Puglia quasi 67mila, la Sicilia quasi 54mila e la Calabria quasi 34mila). Ma anche la Lombardia ha bruciato oltre 50mila tessere e l'Emilia Romagna oltre 46mila.
Uniche regioni in controtendenza sono Trentino Alto Adige (+8 mila iscritti), Veneto (+6,1 mila iscritti) e Valle d’Aosta (+630 iscritti).

La Cgil ha perso soprattutto nelle regioni con una guida di centrosinistra: Campania, Puglia, ed Emilia Romagna. Ma anche Calabria, Umbria, Marche e Lazio. La Cisl, dal canto suo, ha perso in Sicilia e Campania, Ma anche in Lombardia e Calabria. Il Piemonte, con i suoi quasi 12mila iscritti in meno, ha fatto perdere il 4,4% di tesserati.

Controtendenza, come detto, per la UIl, che ha invece guadagnato consenso aumentando i suoi iscritti dell'1,4% (+26.500 tessere), spinta soprattutto dalla Puglia (quasi 10mila nuovi ingressi) e dal Piemonte, con oltre 5500 tessere in più (+3,8%). "Non possiamo certo gioire per i nostri numeri all'interno di un contesto in cui la rappresentanza sta mostrando mutamenti generalizzati, anche nelle associazioni datoriali", commenta Gianni Cortese, segretario generale Uil Piemonte. "Sono fenomeni non positivi, perchè è comunque importante dare voce soprattutto alle fasce più deboli. Penso ai giovani, ma anche ai pensionati e ad altri lavoratori più esposti. Non dimentichiamo, tuttavia, che in Italia viaggiamo su percentuali ancora decisamente più alte di presenza di sindacati rispetto al resto d'Europa e qui da noi, oltre alle attività di contrattazione nazionale e locale, si presa grande attenzione anche a servizi di patronato e di Caf che diventano un punto di riferimento per le persone".

In conto, poi, c'è da tenere anche un mondo del lavoro sempre più in mutamento: "Le dimensioni delle aziende stanno diminuendo ed è sicuramente più semplice organizzare e rappresentare all'interno di realtà più grandi. E poi ci sono vere novità come la gig economy e le nuove forme di lavoro. Come Uil, tuttavia - conclude Cortese - soprattutto in Piemonte dimostriamo che se sono le categorie a fare gli iscritti, anche come confederazione manteniamo una certa immagine positiva presso la gente proprio perché si guarda sempre di più ai contenuti e non alle ideologie. Non nascondiamoci tuttavia le difficoltà: la gente è sempre più sola e lo vediamo tutte le mattine, quando arriviamo alle sale d'aspeto dei nostri uffici".

Non vede una crisi così evidente Pier Massimo Pozzi, segretario generale di Cgil Piemonte: "I nosti dati ci dicono che dal 2015-2016 siamo cresciuti e, più in generale, rispetto agli anni della crisi parlerei di una sostanziale tenuta. Cresciamo sugli attivi, mentre caliamo un po' tra i pensionati. Ovviamente speriamo di far sempre meglio, ma senza dubbio questo è un periodo in cui si fa più fatica che in passato".
Pozzi esclude però un parallelismo con la crisi di altre istituzioni tradizionali come i partiti politici. "Non credo che esista un collegamento. I giovani scelgono ancora di iscriversi alle sigle confederali e alla Cgil. Poi, magari, a livello politico scelgono altri partiti, non tradizionali".

Anche l'analisi di Alessio Ferraris, segretario regionale della Cisl, non cede al pessimismo: "Sono dieci anni di crisi che hanno lasciato il segno, ma più che sfiducia io parlerei di disorientamento di fronte a condizioni che stanno mutando anche in maniera importante. La gente si trova con un figlio magari laureato che non trova lavoro. E' una realtà che la politica per prima non è riuscita a cogliere e ancora adesso non sento un dibattito sulle vere questioni come il fisco, la sanità o la pubblica amministrazione". E anche i numeri, secondo Cisl, andrebbero letti sotto un'altra ottica: "Su 1,8 milioni di lavoratori - dice Ferraris - contiamo che circa il 50% lavora in aziende sotto i dieci dipendenti, dove è quasi impossibile andare a fare rappresentanza. Dei restanti quasi 900mila, almeno 765mila sono iscritti a una delle tre sigle confederali. Non mi sembrano numeri così terribili. In ogni caso, come Cisl, ci stiamo attivando per intercettare nuovi modi di lavorare, con tutele sempre minori e che hanno diritto di protezione. Pensiamo al lavoro somministrato, ma non solo. E poi abbiamo aperto un nuovo settore dedicato alle partite Iva, dove alcuni lo sono per scelta, ma altri per obbligo. E' tutto il Paese, però, che deve ripartire davvero".

Dal nostro corrispondente di Torino

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